Quando lo sport è inclusione: 5 storie notevoli di atleti con disabilità
Uno sprone per chi si avvicina ad una disciplina sportiva e per chi già lo pratica e, a volte, è tentato di mollare.
Chiunque abbia mai gareggiato o partecipato ad una maratona o ad una mezza maratona, avrà con ogni probabilità visto gruppi di persone che correva spingendo altri in carrozzella. Una manciata di anni fa balzò agli onori della cronaca il podista siciliano Vito Massimo Catania per essere stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Matterella del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” con la seguente motivazione, che potete trovare anche sul sito ufficiale del Quirinale:
“Vito Massimo Catania, 39 anni – Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il suo generoso impegno nella sensibilizzazione sul tema delle barriere architettoniche e sociali. È un podista tesserato con l’Atletica Regalbuto. Nel 2014 ha vinto l’Etnatrail di 64 Km; nel 2016 la Super maratona dell’Etna.
Da un paio di anni ha deciso di smettere di gareggiare. Da allora mette a disposizione le sue gambe e polmoni a chi non ha la possibilità di poter correre permettendo ai disabili di vivere l’esperienza della corsa. Sensibilizza così gli sportivi e il pubblico sulla vita dei disabili, vittime delle barriere architettoniche e sociali.”
Anche solo il nome sembra ricordare quello di un Gladiatore. Il runner siciliano non è “solo” un atleta di grande talento e di successo. Da ormai 5 anni Vito Massimo ha messo da parte l’agonismo individuale per consegnare gambe, testa e cuore al servizio dell’inclusione di persone con disabilità. Non molto tempo fa festeggiato il 50esimo chilometro corso insieme alla sua grande amica Giusi La Loggia, costretta in una sedia a rotelle per una atassia, una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che intacca la coordinazione muscolare.
Ma Vito Massimo non è solo in questo. Ci sono molti atleti che hanno scelto la via dell’inclusione sportiva senza essere campioni. A Rimini, in occasione della Rimini Marathon ogni anno si tiene il raduno nazionale dei cosiddetti “spingitori”, ovvero quelle persone che hanno deciso di far vivere l’emozione della corsa a chi non può praticarla.
La crescita dello sport come inclusione: 5 esempi di (grandi) atleti
Sono davvero molte le realtà che dimostrano ogni giorno che lo sport può essere un veicolo di inclusione, anzi probabilmente lo strumento principale. Nel mondo ci sono molte organizzazioni no profit che insieme ad atleti normodotati, si dedicano alla valorizzazione degli atleti con disabilità in molte discipline.
Il reale obiettivo di queste realtà non è tanto quella di dare la possibilità di fare attività sportiva, o almeno non solo. Il reale intento è quello di combattere gli stereotipi negativi sulle persone con disabilità erroneamente etichettate in base alle loro abilità e alla loro intelligenza motoria.
A tal proposito è estremamente interessante la testimonianza dello scalatore britannico Paul Pritchard, affetto da emiparesi a seguito di un grave incidente durante un’arrampicata. Nel corso di una intervista ha dichiarato: “Chi è disabile non è affatto incapace. La società pone delle barriere di fronte al disabile perché tutti noi siamo abituati a vivere la vita in modo veloce. Ma da quando sono costretto a muovermi più lentamente noto una miriade di cose che prima non vedevo. Ho affinato la mia capacità di distinguere il carattere delle persone e credo di aver imparato che con il giusto aiuto tutti possano riuscire a fare delle cose sorprendenti”.
L’arrampicata, forse per il significato intrinseco che custodisce, è uno sport molto praticato tra le persone con disabilità. E lo è da molto tempo con risultati sportivi e di inclusione davvero notevoli. Siamo nel 1989 e Mark Wellman fu il primo scalatore paraplegico a scalare la mitica parete di El Capitan in California. Oggi spicca il nome di Craig de Martino che, a causa di un terribile incidente nel 2002 ha subito l’amputazione di una gamba e scala le cime di mezzo mondo.
Fermamente deciso a non rinunciare alla sua più grande passione dopo un lunghissimo ed estenuante lavoro di riabilitazione, nel giugno del 2021 è riuscito a scalare El Capitan insieme a Jerem Frye e a Pet Davis, scalatori anch’essi disabili. Fin dall’inizio dell’inizio della sua nuova vita Craig non ha limitato la sua azione solo per perseguire obiettivi e performance personali, ma ha creato e dato continuità a molte iniziative che avevano come scopo l’inclusione degli atleti con disabilità.
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In Italia ci sono diverse associazioni che coinvolgono scalatori con disabilità di diverso tipo. A Torino, ad esempio, esiste l’iniziativa ConTatto Verticale che, nata da Carla Galletti e Pietro dal Prà due istruttori di arrampicata per non vedenti, prevede un’intera giornata dedicata alla community dei climber coinvolta in azioni e arrampicate. Insieme a persone non vedenti scalano la parete imparando a guidarle e a diventare i loro occhi, aiutandoli a visualizzare appoggi e appigli.
L’arrampicata, contrariamente a quanto si possa pensare, è uno sport che rispetto a tutti gli altri riesce meglio a valorizzare le capacità sensoriali più sviluppate nelle persone con deficit alla vista. Amplifica la concentrazione e le sensazioni e per tale motivo risulta un tramite perfetto di inclusione sportiva.
Altra disciplina molto apprezzata da persone non vedenti è lo sci.
Negli Stati Uniti esiste l’ABSF (American Blind Skiing Foundation) l’associazione d’inclusione sportiva di riferimento. Mentre in Italia c’è Il Gruppo Verbanese Sciatori Ciechi, nato nel 1982 grazie ad una iniziativa del CAI Verbania e del Lions Club ed è affiliato al C.I.P. (Comitato Italiano Paralimpico).
I metodi di insegnamento sono analoghi un po’ dappertutto: all’inizio, ogni sciatore conosce, principalmente con il tatto, i materiali che dovrà utilizzare e inizia a percepire il proprio corpo sugli sci e sulla neve. L’inclusione sportiva inizia dalle prime discese, dove l’atleta è in prima fase supportato da due guide, e solo quando ha raggiunto un buon grado di autonomia, viene affidato a un unico istruttore.
La comunicazione tra istruttore e sciatore avviene via radio dove l’istruttore comunica le indicazioni sul grado di difficoltà della discesa o del percorso, le curve e la presenza di potenziali ostacoli.
Grazie a queste iniziative le persone non vedenti posso raggiungere risultati eccellenti. Ad esempio l’atleta Millie Knight, ipovedente e membro della nazionale paralimpica britannica ha vinto l’oro alle olimpiadi invernali di Pyeongchang, raggiungendo la non banale velocità di 115 km/h nonostante riesca a vedere solo a due metri da sé.
Anche le guide hanno storie notevoli da raccontare. Rob Umstead, marito di Danelle Umstead, sciatrice paralimpica della nazionale americana ha detto: “Il mio lavoro è essere i suoi occhi. Si tratta, in sostanza, di pensare a voce alta e dire a lei tutto quello che accade. Se riesco a farlo al meglio e a fornirgli una buona descrizione, lei riesce ad essere aggressiva e ad anticipare tutto quello che accade. Altrimenti gli rimane immaginarsi le cose”.
Chiudiamo questo articolo con un esempio splendido che il padre di Bailey Matthews ci ha regalato e che crediamo sia l’emblema di ciò che significa inclusione sportiva.
Bailey è un bimbo inglese affetto da paralisi celebrale che all’età di 8 anni ha deciso di sfidare la sua condizione iscrivendosi al Castle Howard Triathlon nel North Yorkshire.
La gara è sostanzialmente una sorta di triathlon in miniatura. Prevede 100 metri di nuoto, 4 km di bicicletta e 1,3 km di corsa. È una performance tutto sommato semplice per un bimbo normodotato ma per il piccolo Bailey è una sfida enorme.
Questo video riprende gli ultimi difficilissimi passi prima del traguardo, dove, incoraggiato dal tifo della folla, Bailey lascia il suo sostegno e cade diverse volte prima di varcare la linea di arrivo e terminare la sua gara donandoci una straordinaria pagina di Sport.
Nella foto di copertina: Gemechis Paparella e Sergio La Forgia – Polisport Dream Team – Molfetta (Bari)