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La crescita del Rugby italiano

A breve distanza da una Coppa del Mondo che non ha soddisfatto le aspettative, la squadra nazionale italiana di rugby maschile ha archiviato la sua più brillante partecipazione al Sei Nazioni, ottenendo un pareggio e due vittorie. Questo risultato notevole è frutto sia dell’impegno e del talento dei giocatori sia delle strategie introdotte dal nuovo allenatore, Gonzalo Quesada.

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Dall’anno 2000, la nazionale maschile di rugby dell’Italia compete nel prestigioso torneo del Sei Nazioni, un evento annuale che vede la partecipazione delle sei principali squadre europee. L’inclusione dell’Italia in questo torneo è stata frutto di una strategia volta ad espandere l’audience, sostenuta dagli sforzi della Federazione Italiana di Rugby e da una serie di risultati impressionanti ottenuti nel corso degli anni Novanta. Tuttavia, per anni l’Italia ha faticato a tenere il passo con le altre cinque nazioni partecipanti: Irlanda, Inghilterra, Scozia, Galles e Francia. Nonostante un iniziale entusiasmo e un incremento dell’interesse da parte di un pubblico non strettamente legato al rugby, l’attenzione è calata a seguito di pesanti sconfitte, alcune battute d’onore e rare vittorie, portando a un progressivo disincanto e a una generale accettazione della sconfitta come esito quasi inevitabile.

Il cambio di mentalità

Quest’anno, tuttavia, la situazione è mutata significativamente. L’Italia ha dimostrato il suo valore perdendo di misura contro l’Inghilterra con un punteggio di 27-24, una sconfitta che può essere considerata onorevole, e, nonostante una dura sconfitta per 36-0 contro l’Irlanda, ha successivamente pareggiato in trasferta contro la Francia con un punteggio di 13-13, sfiorando la vittoria con un calcio che ha colpito il palo nell’ultimo secondo. La squadra ha poi conquistato una vittoria per 31-29 contro la Scozia, grazie a una rimonta nella seconda metà di gioco che ha evidenziato una delle migliori prestazioni dell’Italia nel Sei Nazioni, per chiudere infine con un trionfo esterno per 24-21 contro il Galles, dopo essere stata in vantaggio per 18-0.

Per ben undici anni, fino alla vittoria contro la Scozia, l’Italia non aveva assaporato il gusto del successo casalingo nel Sei Nazioni, con una striscia di 26 partite perse davanti al proprio pubblico. Non si vedeva una doppia vittoria consecutiva da parte dell’Italia nel torneo dal 2007, e mai prima d’ora la squadra era riuscita a disputare tre incontri di fila senza subire sconfitte.

Questo cambiamento di rotta non è solo un fatto numerico ma riflette un significativo salto di qualità nella performance dell’Italia sul campo di rugby, uno sport in cui tradizionalmente prevale il team più forte. Tale trasformazione è largamente attribuibile all’apporto del nuovo tecnico, l’argentino Gonzalo Quesada, che ha conferito alla squadra una maggiore solidità. Importante è stato anche il contributo del suo predecessore, l’ex All Black neozelandese Kieran Crowley, che aveva infuso un approccio audace al gioco. A questi fattori si aggiunge l’impegno di un movimento rugbistico determinato, che ha collocato la nazionale al centro delle proprie priorità, scoprendo alcuni talenti eccezionali e ampliando la rosa dei giocatori di livello internazionale disponibili per la selezione.

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Un po’ di storia recente del rugby italiano

L’avventura dell’Italia nel Sei Nazioni iniziò sotto i migliori auspici, con una storica vittoria casalinga contro la Scozia. Ciò nonostante, il percorso successivo della nazionale nel torneo si è caratterizzato per lo più da piazzamenti al penultimo posto o, più frequentemente, all’ultimo. La squadra italiana, nella maggior parte delle edizioni del Sei Nazioni a cui ha partecipato, non è riuscita a vincere alcuna partita e solo in due occasioni, nel 2007 e nel 2013, è riuscita a ottenere due vittorie su cinque partite. Sebbene un iniziale periodo di ambientamento al livello di competizione del Sei Nazioni fosse prevedibile, il vero problema è stato l’apparente assenza di progresso negli anni più recenti, con una fase che alcuni hanno interpretato addirittura come un regresso.

Tra il 2016 e il 2021, l’Italia non ha vinto neanche un match del torneo, subendo spesso sconfitte pesanti. Al termine del 2023, l’Italia contava 120 incontri nel Sei Nazioni, con solamente 13 vittorie all’attivo.

Parallelamente, l’Italia ha partecipato a sei edizioni della Coppa del Mondo di rugby, venendo eliminata sempre nella fase a gironi. La squadra si è trovata a fronteggiare le potenze rugbistiche sia dell’emisfero Nord, le stesse con cui si confronta nel Sei Nazioni, sia quelle dell’emisfero Sud, incluse Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica e Argentina, che annualmente competono nel torneo del Rugby Championship. L’ultima esperienza mondiale, in Francia nel 2023, ha visto l’Italia prevalere contro Uruguay e Namibia, ma subire pesanti sconfitte da Nuova Zelanda e Francia, con un bilancio di 156 punti incassati contro i 24 segnati, 3 mete realizzate e 22 subite.

Da quando è entrata a far parte del Sei Nazioni, l’Italia ha affidato la guida tecnica della sua nazionale di rugby a nove allenatori, tutti provenienti dall’estero: tre neozelandesi, due francesi, due sudafricani, un irlandese e, più recentemente, un argentino. Questa scelta riflette una tendenza comune anche nel calcio, dove tecnici italiani sono spesso chiamati a guidare nazionali di paesi con una minore tradizione calcistica. Allo stesso modo, nel rugby, l’Italia ha puntato su allenatori dall’ampia esperienza internazionale e originari di nazioni con una storia rugbistica più ricca, nel tentativo di accrescere il proprio livello competitivo.

L’obiettivo per l’Italia negli ultimi vent’anni è stato quello di crescere, stabilire cicli di sviluppo pluriennali e colmare il divario con le altre nazionali del Sei Nazioni. Questo processo ha implicato non solo la ricerca di una propria identità di gioco, oscillante tra un approccio più aggressivo o difensivo, audace o cauto, ma anche la valutazione di come i vari giocatori potessero adattarsi a diversi stili di gioco. Tutto ciò è avvenuto in un contesto in cui il rugby a livello globale ha subito significative evoluzioni, orientandosi negli ultimi anni verso un approccio più tattico e difensivo.

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Il fattore Gonzalo Quesada

Prima dell’arrivo di Gonzalo Quesada, la squadra era stata guidata da Kieran Crowley per due edizioni del Sei Nazioni e per la Coppa del Mondo del 2023. Sotto la guida di Crowley, l’Italia ha vinto solo una partita nel Sei Nazioni, ma si è distinta per un approccio audace e arrembante, cercando di sorprendere le avversarie con l’imprevedibilità del suo gioco. Anche nelle sconfitte, spesso di misura, la squadra ha mostrato una notevole propensione all’attacco e una grande fiducia nelle proprie capacità, tentando di vincere con uno spirito combattivo e innovativo.

Nell’articolo pubblicato sul sito Ultimo Uomo, Mauro Mondello ha evidenziato una trasformazione sostanziale nell’approccio al gioco offensivo della nazionale italiana di rugby, descrivendo un’evoluzione verso uno stile di gioco caratterizzato da ritmi vivaci e movimenti imprevedibili. Questa nuova mentalità ha portato a un rugby ambizioso, praticato in ogni area del campo, dove i giocatori non esitano a tentare azioni audaci, persino partendo dalla propria zona dei 22 metri difensivi. Un cambiamento notevole per una squadra che per anni era stata configurata come una formazione prevalentemente difensiva, mirata a contrastare e neutralizzare le strategie avversarie, piuttosto che a imporre il proprio gioco.

In questo contesto di rinnovamento e sperimentazione, è emersa la figura di Ange Capuozzo, talento eccezionale del rugby italiano, che si è distinto per le sue qualità creative e per la capacità di apportare un elemento di imprevedibilità e genialità alla squadra. Capuozzo rappresenta non solo uno dei più brillanti talenti italiani degli ultimi anni ma anche un simbolo del nuovo corso che la nazionale italiana sta cercando di seguire, mirando a superare gli schemi tradizionali e a confrontarsi con le potenze rugbistiche a testa alta, grazie anche alla freschezza e all’estro dei suoi giovani protagonisti.

Alla fine del 2023, dopo gli amari risultati ottenuti dalla nazionale italiana di rugby nella Coppa del Mondo, Gonzalo Quesada ha assunto l’incarico di tecnico di una squadra che, nonostante fosse considerata piacevole da seguire in campo, non riusciva a concretizzare il proprio gioco in vittorie. Caratterizzata da una certa gioventù e da una nascente autoconsapevolezza, questa formazione mostrava al contempo segni di fragilità. Quesada ha immediatamente comunicato la sua intenzione di cercare un equilibrio, ponendo un accento maggiore sulla fase difensiva e considerando l’approccio offensivo promosso dal suo predecessore, Kieran Crowley, come una delle varie strategie applicabili piuttosto che come un percorso obbligato.

Nel suo debutto mediatico come allenatore dell’Italia, Quesada ha sottolineato l’importanza di “rafforzare le basi e migliorare i fondamentali“, pur esprimendo apprezzamento per il dinamismo offensivo introdotto da Crowley, da utilizzare con oculatezza in determinate zone del campo.

In un’intervista rilasciata all’inizio dell’anno al Corriere della Sera, Quesada ha utilizzato una metafora calcistica per illustrare la sua visione, paragonando i suoi gusti tattici a quelli di Pep Guardiola e Diego Simeone. Mentre Guardiola è rinomato per il suo calcio di possesso e controllo, Simeone è celebre per un approccio più pragmatico e difensivo, ma altrettanto vincente. Quesada ha chiarito che, nonostante l’ammirazione per entrambi gli stili, l’Italia non può aspirare a emulare l’Atletico Madrid a causa delle differenze fisiche rispetto a squadre come l’Inghilterra, e quindi dovrebbe puntare sulla velocità e sulla coesione di squadra come suoi punti di forza.

Conosciuto per la sua attenzione ai dettagli e per la capacità di integrare aspetti emotivi e strategici, Quesada si è impegnato a forgiare un’Italia più solida, versatile e disciplinata, in linea con le tendenze attuali del rugby internazionale.

Escludendo la battuta d’arresto contro l’Irlanda, nel corso del Sei Nazioni, l’Italia ha dimostrato una notevole solidità e pragmatismo nella gestione delle partite, efficacia nel capitalizzare ogni opportunità di segnare, sia attraverso mete che calci di punizione, oltre a un’organizzazione difensiva compatta e placcaggi convincenti. Un aspetto fondamentale del successo italiano è stata la disciplina: nel rugby, sport regolamentato da molteplici norme, è facile commettere falli, specialmente contro avversari tecnicamente superiori, che possono facilmente tradursi in punti per l’avversario. Una rigorosa disciplina in campo aiuta a limitare tali rischi.

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L’ottimo lavoro della Federazione Italiana Rugby

Al centro di questa rinascita non ci sono solo le strategie dell’allenatore Gonzalo Quesada, ma anche il lavoro svolto dalla Federazione Italiana Rugby, guidata dal 2021 da Marzio Innocenti, successore di Alfredo Gavazzi, presidente dal 2012. Fondamentale è stato anche il contributo diretto dei giocatori, il cui impegno e talento sul campo hanno portato risultati tangibili.

La nazionale italiana si caratterizza per essere una squadra relativamente giovane, arricchita da alcuni talenti eccezionali che, nei loro specifici ruoli, si stanno affermando o hanno il potenziale per essere riconosciuti tra i migliori a livello mondiale. Tra questi spiccano nomi come Ange Capuozzo, il mediano di mischia Martin Page-Relo e il mediano di apertura Paolo Garbisi, che, nonostante la giovane età, vantano già esperienze significative come partecipazioni alla Coppa del Mondo e al Sei Nazioni. Al loro fianco, ci sono giocatori esperti quali Ignacio Brex, emerso come uno dei migliori atleti dell’ultimo Sei Nazioni, e giovani promesse al debutto come Ross Vintcent o Louis Lynagh, quest’ultimo di origini italiane per parte di madre e figlio dell’ex stella del rugby australiano Michael Lynagh.

Va inoltre sottolineato il progresso del settore giovanile, con l’Italia Under 20 che negli ultimi anni ha mostrato miglioramenti sostanziali nelle sue prestazioni nel Sei Nazioni di categoria, piazzandosi terza l’anno precedente e quarta nell’edizione corrente, segno di un movimento rugbistico nazionale in crescita e di una base solida su cui costruire il futuro della squadra senior.

Le prossime sfide del rugby italiano

Nonostante il crescente ottimismo che circonda la nazionale italiana di rugby, permangono alcune sfide significative. Una questione centrale è la dipendenza della squadra da giocatori con origini italiane ma formatisi all’estero, lontani quindi dal sistema rugbistico nazionale. In aggiunta, una porzione rilevante del roster proviene dalla Benetton Treviso, il club più prestigioso d’Italia, che tuttavia non compete nel campionato italiano, limitando così la visibilità e l’esperienza di gioco nel contesto nazionale.

Sebbene il rugby italiano goda di un seguito capace di riempire lo Stadio Olimpico di Roma e sia supportato da una delle federazioni sportive più benestanti del paese, grazie anche ai proventi generati dal Sei Nazioni, il numero di praticanti è relativamente basso, attestandosi intorno ai 70.000. Questo restringe il bacino disponibile per la scoperta e la crescita di nuovi talenti.

Guardando al Sei Nazioni, vi sono motivi di speranza, come dimostrato dalla leadership dell’Italia nella classifica dei placcaggi, con nessuno che ha placcato quanto il capitano Michele Lamaro. Tuttavia, si registrano anche aspetti meno positivi: la nazionale si trova all’ultimo posto per mete segnate e punti complessivi, oltre che per metri corsi con la palla in mano e per passaggi totali nel corso del Sei Nazioni 2024. Per il secondo anno consecutivo, il torneo è stato vinto dall’Irlanda, ponendo in evidenza il divario ancora da colmare per l’Italia sul piano del rendimento offensivo e della capacità di convertire le opportunità in punti.

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