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L’intelligenza artificiale sta cambiando lo Sport

Siamo ancora agli inizi ma già si intravedono le tracce di una rivoluzione che cambierà il nostro modo fare e di fruire lo sport: parliamo di intelligenza artificiale

Da una manciata di anni a questa parte il progresso e le innovazioni tecnologiche stanno cambiando le nostre abitudini e il nostro modo di vivere nella società. Piattaforme digitali, app, dispositivi tecnologici, wearable (dispositivi indossabili come smartwatch) scandiscono quotidianamente le nostre routine, ci forniscono strumenti di intrattenimento, monitorano il sonno, le nostre performance sportive, sono luoghi virtuali di incontri e scambi ecc.. L’utilizzo di questi strumenti ha come conseguenza la produzione e l’immagazzinamento di una mole inimmaginabile di dati di profilazione, spesso senza che l’utente ne sia totalmente consapevole. Uno smartwatch che monitora il sonno, ad esempio, conserva nei suoi server i dati raccolti dal primo giorno di utilizzo, lo smartphone traccia e registra i tuoi movimenti, le piattaforme di intrattenimento ti suggeriscono dei contenuti sulla base dei tuoi gusti esaminati grazie alle tue scelte precedenti. 

Tutti questi dati immagazzinati alimentano gli ecosistemi tecnologici alla base dell’IA, Intelligenza Artificiale.

Cos’è l’intelligenza artificiale?

Alla base dell’intelligenza artificiale c’è l’intenzione di assimilare i comportamenti dell’intelligenza umana per inserirli in sistemi hardware e software per fornire alle macchine caratteristiche tipicamente umane come riconoscere oggetti, valutare situazioni e prendere decisioni, guidare automobili, studiare strategie di marketing e molto molto altro. 

La particolarità è che tutto questo viene fatto in totale autonomia dell’intelligenza artificiale senza che l’uomo debba intervenire attivamente. L’intelligenza artificiale è in grado di fare ciò perché, grazie all’analisi dell’enorme quantità di dati di cui può disporre su abitudini, acquisti, ecc., apprende e prevede comportamenti e aspettative.

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L’AI è ormai ovunque, anche nello sport

Oggi l’intelligenza artificiale è dappertutto: sui nostri cellulari, sui nostri pc, tablet, automobili, piattaforme streaming, assistenti vocali ecc. Nella sport industry l’AI ha avuto sin da subito un impatto molto importante e non è difficile capirne il motivo: l’abbondanza dei dati di cui si dispone la rendono un terreno estremamente fertile per sviluppare tale tecnologia. 

Ad oggi l’AI nello sport viene impiegata in diverse applicazioni:

  • Scouting and recruiting: viene utilizzata nella valutazione del potenziale di un atleta stimando il suo valore di mercato e contemporaneamente fornisce supporto alle società sportive per prendere le migliori decisioni sull’opportunità o meno di acquistare le sue prestazioni sportive.
  • Training and coaching: durante le sessioni di allenamento l’AI fornisce agli atleti, al coach e ai preparatori supporto per monitorare le condizioni fisiche e le performance suggerendo il training migliore per specifico atleta in modo da preparare il match nel modo migliore
  • Media and fan experience: assistenti virtuali come chatbot che rispondono alle domande dei fan su competizioni, ticketing, statistiche, parcheggio nei pressi dello stadio ecc. La stessa AI può inoltre monitorare e registrare i picchi di reazione del pubblico e grazie a ciò riesce a montare in autonomia video con gli highlights più interessanti
  • Broadcasting: si tratta di tutto quello che viene messo in campo per fornire al tifoso la migliore esperienza di fruizione di un evento live. L’AI seleziona le migliori inquadrature per fornire una visione più immersiva. Inoltre questa tecnologia viene usata per fornire live allo spettatore i dati delle performance, calcolati ed esposti in tempo reale come il numero di passaggi effettuati o i km percorsi durante la partita.

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Non si torna indietro

Questi progressi non sono certo da considerare il punto di arrivo ma solo l’inizio di quello che si prospetta essere un’autentica rivoluzione. Perché l’AI è in continua evoluzione e le sue applicazioni si moltiplicano in tempi rapidissimi. Questa tecnologia è davvero in continua evoluzione, i dati raccolti crescono esponenzialmente, i costi si abbassano e la fruizione diventa sempre più accessibile. Senza parlare della potenza di calcolo di cui le intelligenze artificiali possono disporre e che aumentano a distanza di pochissimo tempo permettendo loro di evolversi e di svilupparsi sempre di più.

Gli effetti migliorativi nello sport hanno una portata davvero notevole. 

Raccogliere dati sulle sessioni di allenamento o durante il match, confrontarli con dati storici o con benchmark del passato, analizzarli insieme ad esperti. Tutto questo finisce per definire strategie di gioco e training sempre più accurate ed efficaci

Inutile dire che questo aiuta anche il lavoro degli allenatori e dei tecnici che avranno più parametri a disposizione per definire e giudicare le preparazioni dei singoli atleti. L’AI inoltre può essere configurato come un vero e proprio assistente virtuale in grado di analizzare in tempo reale le tattiche di gioco avversarie e di proporre contromisure. Grazie all’analisi dei dati, infatti, l’AI è in grado di prevedere quali giocatori potrebbero in quello specifico momento essere risolutivi nella partita e quando. Tutto questo analizzando enormi dati che vengono prodotti e analizzati in tempo reale. Nel campionato americano di NFL questo succede già.

Questa modalità di analisi è, con ogni probabilità, in grado di scoprire intuizioni strategiche “sovraumane” o fornire ai direttori sportivi delle società delle dritte molto interessanti per differenziare la campagna acquisti. O può sostituirsi ad un procuratore come fece nel 2021 Kevin De Bruyne, forte centrocampista del Manchester City, che si avvalse di un team di data analyst per ridiscutere il suo rinnovo contrattuale.

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L’AI cambierà anche il modo di interagire con il pubblico

Il modo in cui lo spettatore fruirà del prodotto sportivo potrebbe in un prossimo futuro subire variazioni che non riguardano solo alcune sovrimpressioni con statistiche sui Km svolti dall’atleta o il numero di punti o passaggi riusciti come avviene ora. L’idea è quella di fornire al fan un’esperienza del tutto personalizzata che in un certo senso possa adattarsi al risultato o alle aspettative del tifoso. In termini pratici questo significa che sarà possibile proporre dei prodotti o servizi commerciali basandosi sul “sentiment” dei tifosi, monitorandolo in tempo reale: se la squadra o l’atleta preferito sta vincendo è probabile che il mio “mood” sia positivo e forse più propenso ad acquistare un prodotto, di contro se le cose non vanno benissimo per la mia squadra o atleta del cuore magari posso essere “consolato” con una promozione o un forte sconto consolatorio. 

Come mostrato nella infografica, possiamo dividere le fasi in Pre-Game, In-Game e Post-Game

Una infografica sulle fasi degli interventi dell’AI in ambito sportivo – Wansport Blog

Fase Pre-Game

Come già spiegato ad inizio articolo l’AI interverrà nella fase “Pre-Game” nel processo di “training & coaching” attraverso il monitoraggio e la reportistica delle performance dell’atleta e del suo stato di forma, fornendo all’allenatore info sulle prestazioni e consigli tecnico-tattici per una migliore strategia di gioco.

Fase In-Game

Durante il match l’intelligenza artificiale diventa un partner indispensabile dei giudici di gara con sistemi di assistenza all’arbitraggio (VAR, Gol Line Technology, Fuorigioco semiautomatico, occhio di falco ecc. ecc.) e un partner del coach con statistiche ed elaborazioni in real time di strategie adattive e suggerimenti di nuove soluzioni tattiche.

Fase Post-Game

A gara terminata l’intelligenza artificiale è usata per ottimizzare e rendere più permeabile ed efficace l’interazione con i fan, con la creazione di contenuti a loro dedicati, highlights automatiche e in generale un sistema di intrattenimento che tenga conto del sentiment attuale così da risultare più memorabile ed efficace.

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Cosa ci riserva futuro?

L’intelligenza artificiale applicata allo sport non ha faticato a trovare immediatamente applicazioni pratiche alle società sportive, agli arbitri e al marketing. 

L’AI offre quindi moltissime opportunità in ambiti anche molto diversi fra loro. Capire dove stiamo andando e cercare di svelare il futuro di questa tecnologia rivoluzionaria è attualmente un compito piuttosto arduo. 

Grandi storie di sport sono costellate di decisioni sotto pressione, grandi errori strategici o di valutazione, che oltre a rendere le partite uniche e memorabili, rappresentano anche un fattore di engagement importantissimo per i fan, sia in positivo che in negativo: le sconfitte sono emozionati al pari delle vittorie, dopotutto. Insomma, lo sport appassiona perché è una pratica umana che più umana non si può. Se l’AI in futuro suggerirà decisioni sempre perfette c’è forse il concreto rischio che non si provi più entusiasmo o frustrazione e che lo sport diventi una pratica fredda e poco coinvolgente? 

E’ difficile rispondere, probabilmente il segreto sta nel trovare un giusto equilibrio ma solo il tempo e le esperienze potranno fornirci una risposta.


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3 regole d’oro per uno stile di vita da atleta

Centra naturalmente l’allenamento, ma non è l’unica pratica abituale che vi permetterà di tirar fuori migliori performance nella partitella settimanale

Ma come fanno gli atleti professionisti a raggiungere così grandi prestazioni con costanza? L’allenamento, direte voi, e non sbagliereste. Ma da solo non basta. Il segreto sta nell’approccio olistico della preparazione. La vita di atleta non osserva solo regole relative agli allenamenti ma per essere costantemente, come si dice in gergo, la “migliore versione di se stessi” è necessario avere un corretto atteggiamento mentale, fare costante esercizio fisico, mangiare bene e riposare meglio. Anche se il tuo obiettivo non è proprio quello di vincere gli Australian Open o il World Padel Tour, l’approccio olistico se non altro ti aiuterà a stare meglio e a performare meglio non solo nello sport. Anche se, diciamolo chiaramente, battere un avversario con un ranking maggiore del tuo fa sempre molto piacere. Iniziamo!

Regola n.1 per uno stile di vita da ateleta: diversifica l’allenamento

Per avere sempre una miglior risposta dal proprio corpo è importante metterlo alla prova con stimoli sempre nuovi. Per prima cosa segui un allenamento diversificato: corri (magari non sempre lo stesso tragitto ma varialo considerando lunghezza e pendenza), vai in bici, fai esercizi a corpo libero, fai pesi, nuota ecc…Ogni allenamento dovrà avere degli obiettivi specifici allenando varie parti del corpo e in varie zone di frequenza cardiaca così da far lavorare il corpo in modi diversi, sollecitando vari muscoli con diverse intensità. In questo modo e adottando questo semplice stile di vita ti sentirai fisicamente molto più in forma.

diversifica l’allenamento e attiva muscoli che non pensavi nemmeno di avere 🙂 – Wansport blog

Regola n.2 per uno stile di vita da atelta: mangia sano

Cerca di adottare un approccio alimentare cosiddetto clean eating. Il clean eating prevede:

  • Alimenti senza additivi artificiali e zuccheri raffinati
  • Prodotti regionali e stagionali
  • Cibi freschi e preparati in casa
  • Molte (ma molte) verdure e prodotti integrali
  • Metodi di produzione ecologici

Parleremo a breve e diffusamente del clean eating nei prossimi articoli. Ti basta sapere che, aldilà del fatto che è considerata la moda del momento, questo tipo di approccio alimentare garantisce ottimi risultati in termini di benessere e per molti è considerato un vero e proprio stile di vita.

Ricordati anche di idratarti! Può sembrare una banalità (e per certi versi lo è) ma quando si fa attività fisica si suda, si perdono liquidi, sali minerali, ecc… Bisogna sempre bere molta acqua ed essere sempre ben idratati altrimenti le tue prestazioni risulteranno sottotono.

Un’ultima dritta sul cibo: adegualo all’evoluzione del tuo percorso di allenamento. Più ti alleni, più il metabolismo accelera, perché il tuo corpo si sta sviluppando e la muscolatura si sviluppa e si tonifica. Pertanto, più diventi performante più avrai bisogno di benzina. Se le due cose non vanno di pari passo, la performance ne risentirà. Questo non vuol dire che siete autorizzati ad abbuffarvi, naturalmente.

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Clean eating: attento a quello che mangi

Regola n.3: riposati

Senza riposo non ci saranno risultati, questo deve essere chiaro. Devi fare delle pause perché è anche durante il riposo che avviene lo sviluppo atletico. Se allenarsi significa stimolare i muscoli, riposo significa rigenerazione e crescita. Trova il giusto equilibrio tra attività e recupero. 

Rilassati e combatti lo stress usando tecniche di rilassamento: è molto importante inserire nella tua routine quotidiana dei momenti di relax che possano aiutarti a combattere lo stress. Lo stress è un’autentica bestia nera di un atleta: non ti fa dormire bene, ti fa spendere energie che invece dovresti usare per gli allenamenti, porta cattive abitudini alimentari e causa un circolo vizioso di negatività generale. 

Ultima cosa: dormi (molto molto) bene. La qualità del sonno è super importante per avere ottime prestazioni. E’ grazie al sonno che i muscoli crescono e si sviluppano, è il sonno che riduce la tensione, è un sano riposo che migliora il tuo benessere complessivo. Se non dormi bene non pensarci nemmeno di tirar fuori una buona performance. Nessuno stile di vita sano contempla la possibilità di non dormire a sufficienza.

Se vuoi allenarti bene devi dormire bene

Riepiloghiamo

Corpo, mente e atteggiamento sono strettamente interconnessi. Quando una di queste aree va a gonfie vele, automaticamente anche le altre ne traggono beneficio. Se ti alimenti in modo sano e fai un buon riposo rigenerante, in allenamento te ne accorgi subito. Se ti alleni bene cresce la tua motivazione a fare sempre meglio, pertanto sei portato a mangiare meglio per tenere gli standard più alti e a riposare meglio per recuperare. Se innescherai questo circolo virtuoso allora libererai il tuo potenziale.

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Quando lo sport è inclusione: 5 storie notevoli di atleti con disabilità

Uno sprone per chi si avvicina ad una disciplina sportiva e per chi già lo pratica e, a volte, è tentato di mollare.

Chiunque abbia mai gareggiato o partecipato ad una maratona o ad una mezza maratona, avrà con ogni probabilità visto gruppi di persone che correva spingendo altri in carrozzella. Una manciata di anni fa balzò agli onori della cronaca il podista siciliano Vito Massimo Catania per essere stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Matterella del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” con la seguente motivazione, che potete trovare anche sul sito ufficiale del Quirinale:

“Vito Massimo Catania, 39 anni – Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il suo generoso impegno nella sensibilizzazione sul tema delle barriere architettoniche e sociali. È un podista tesserato con l’Atletica Regalbuto. Nel 2014 ha vinto l’Etnatrail di 64 Km; nel 2016 la Super maratona dell’Etna.

Da un paio di anni ha deciso di smettere di gareggiare. Da allora mette a disposizione le sue gambe e polmoni a chi non ha la possibilità di poter correre permettendo ai disabili di vivere l’esperienza della corsa. Sensibilizza così gli sportivi e il pubblico sulla vita dei disabili, vittime delle barriere architettoniche e sociali.”

Anche solo il nome sembra ricordare quello di un Gladiatore. Il runner siciliano non è “solo” un atleta di grande talento e di successo. Da ormai 5 anni Vito Massimo ha messo da parte l’agonismo individuale per consegnare gambe, testa e cuore al servizio dell’inclusione di persone con disabilità. Non molto tempo fa festeggiato il 50esimo chilometro corso insieme alla sua grande amica Giusi La Loggia, costretta in una sedia a rotelle per una atassia, una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che intacca la coordinazione muscolare.

Ma Vito Massimo non è solo in questo. Ci sono molti atleti che hanno scelto la via dell’inclusione sportiva senza essere campioni. A Rimini, in occasione della Rimini Marathon ogni anno si tiene il raduno nazionale dei cosiddetti “spingitori”, ovvero quelle persone che hanno deciso di far vivere l’emozione della corsa a chi non può praticarla. 

Vito Massimo Catania con Giusi La Loggia

La crescita dello sport come inclusione: 5 esempi di (grandi) atleti

Sono davvero molte le realtà che dimostrano ogni giorno che lo sport può essere un veicolo di inclusione, anzi probabilmente lo strumento principale. Nel mondo ci sono molte organizzazioni no profit che insieme ad atleti normodotati, si dedicano alla valorizzazione degli atleti con disabilità in molte discipline.

Il reale obiettivo di queste realtà non è tanto quella di dare la possibilità di fare attività sportiva, o almeno non solo. Il reale intento è quello di combattere gli stereotipi negativi sulle persone con disabilità erroneamente etichettate in base alle loro abilità e alla loro intelligenza motoria.

Craig De Martino mentre ci dimostra che nulla è impossibile – Wansport Blog

A tal proposito è estremamente interessante la testimonianza dello scalatore britannico Paul Pritchard, affetto da emiparesi a seguito di un grave incidente durante un’arrampicata. Nel corso di una intervista ha dichiarato: “Chi è disabile non è affatto incapace. La società pone delle barriere di fronte al disabile perché tutti noi siamo abituati a vivere la vita in modo veloce. Ma da quando sono costretto a muovermi più lentamente noto una miriade di cose che prima non vedevo. Ho affinato la mia capacità di distinguere il carattere delle persone e credo di aver imparato che con il giusto aiuto tutti possano riuscire a fare delle cose sorprendenti”.

El Capitain, Yosemite National Park

L’arrampicata, forse per il significato intrinseco che custodisce, è uno sport molto praticato tra le persone con disabilità. E lo è da molto tempo con risultati sportivi e di inclusione davvero notevoli. Siamo nel 1989 e Mark Wellman fu il primo scalatore paraplegico a scalare la mitica parete di El Capitan in California. Oggi spicca il nome di Craig de Martino che, a causa di un terribile incidente nel 2002 ha subito l’amputazione di una gamba e scala le cime di mezzo mondo. 

Fermamente deciso a non rinunciare alla sua più grande passione dopo un lunghissimo ed estenuante lavoro di riabilitazione, nel giugno del 2021 è riuscito a scalare El Capitan insieme a Jerem Frye e a Pet Davis, scalatori anch’essi disabili. Fin dall’inizio dell’inizio della sua nuova vita Craig non ha limitato la sua azione solo per perseguire obiettivi e performance personali, ma ha creato e dato continuità a molte iniziative che avevano come scopo l’inclusione degli atleti con disabilità.

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Una parete per l’arrampicata – Wansport Blog

In Italia ci sono diverse associazioni che coinvolgono scalatori con disabilità di diverso tipo. A Torino, ad esempio, esiste l’iniziativa ConTatto Verticale che, nata da Carla Galletti e Pietro dal Prà due istruttori di arrampicata per non vedenti, prevede un’intera giornata dedicata alla community dei climber coinvolta in azioni e arrampicate. Insieme a persone non vedenti scalano la parete imparando a guidarle e a diventare i loro occhi, aiutandoli a visualizzare appoggi e appigli. 

L’arrampicata, contrariamente a quanto si possa pensare, è uno sport che rispetto a tutti gli altri riesce meglio a valorizzare le capacità sensoriali più sviluppate nelle persone con deficit alla vista. Amplifica la concentrazione e le sensazioni e per tale motivo risulta un tramite perfetto di inclusione sportiva.

Altra disciplina molto apprezzata da persone non vedenti è lo sci. 

Negli Stati Uniti esiste l’ABSF (American Blind Skiing Foundation) l’associazione d’inclusione sportiva di riferimento. Mentre in Italia c’è Il Gruppo Verbanese Sciatori Ciechi,  nato nel 1982 grazie ad una iniziativa del CAI Verbania e del Lions Club ed è affiliato al C.I.P. (Comitato Italiano Paralimpico).

I metodi di insegnamento sono analoghi un po’ dappertutto: all’inizio, ogni sciatore conosce, principalmente con il tatto, i materiali che dovrà utilizzare e inizia a percepire il proprio corpo sugli sci e sulla neve. L’inclusione sportiva inizia dalle prime discese, dove l’atleta è in prima fase supportato da due guide, e solo quando ha raggiunto un buon grado di autonomia, viene affidato a un unico istruttore.

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Lo sci è una disciplina in cui si cimentano con successo molte persone non vedenti

La comunicazione tra istruttore e sciatore avviene via radio dove l’istruttore comunica le indicazioni sul grado di difficoltà della discesa o del percorso, le curve e la presenza di potenziali ostacoli. 

Grazie a queste iniziative le persone non vedenti posso raggiungere risultati eccellenti. Ad esempio l’atleta Millie Knight, ipovedente e membro della nazionale paralimpica britannica ha vinto l’oro alle olimpiadi invernali di Pyeongchang, raggiungendo la non banale velocità di 115 km/h nonostante riesca a vedere solo a due metri da sé.

Anche le guide hanno storie notevoli da raccontare. Rob Umstead, marito di Danelle Umstead, sciatrice paralimpica della nazionale americana ha detto: “Il mio lavoro è essere i suoi occhi. Si tratta, in sostanza, di pensare a voce alta e dire a lei tutto quello che accade. Se riesco a farlo al meglio e a fornirgli una buona descrizione, lei riesce ad essere aggressiva e ad anticipare tutto quello che accade. Altrimenti gli rimane immaginarsi le cose”.

Chiudiamo questo articolo con un esempio splendido che il padre di Bailey Matthews ci ha regalato e che crediamo sia l’emblema di ciò che significa inclusione sportiva. 

Bailey è un bimbo inglese affetto da paralisi celebrale che all’età di 8 anni ha deciso di sfidare la sua condizione iscrivendosi al Castle Howard Triathlon nel North Yorkshire.

La gara è sostanzialmente una sorta di triathlon in miniatura. Prevede 100 metri di nuoto, 4 km di bicicletta e 1,3 km di corsa. È una performance tutto sommato semplice per un bimbo normodotato ma per il piccolo Bailey è una sfida enorme. 

Questo video riprende gli ultimi difficilissimi passi prima del traguardo, dove, incoraggiato dal tifo della folla, Bailey lascia il suo sostegno e cade diverse volte prima di varcare la linea di arrivo e terminare la sua gara donandoci una straordinaria pagina di Sport.

Nella foto di copertina: Gemechis Paparella e Sergio La Forgia – Polisport Dream Team – Molfetta (Bari)

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Ora il padel se la gioca con il tennis

Subito dopo la pandemia il padel si è espanso a velocità elevatissima, tanto da arrivare, per numero di giocatori e campi, a competere con lo sport da cui ha avuto origine

Dal 1° gennaio 2023 la Federazione Italiana Tennis ha cambiato nome in Federazione Italiana Tennis e Padel. Di conseguenza anche l’acronimo si adatterà al nuovo nome che diventerà “FITP”. Questo avvenimento in pratica certifica l’esplosione del padel in termini di “hype” e di appetibilità tra gli sportivi e manda un chiaro segnale a chi ha ritenuto che il fenomeno fosse semplicemente una moda passeggera.

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Il padel diventa sempre più diffuso – Wansport Blog

La crescita del padel

La Federazione inserì il padel come un suo settore nel 2008, al pari del beach tennis e circa 14 anni fa si è espanso talmente tanto che ha attirato l’attenzione quasi pari a quella del tennis. Attualmente, come spiegato da Angelo Binaghi, presidente federale, “oggi il padel in Italia ha oltre ottocentomila praticanti, con quasi settantamila tesserati e un bacino che in potenza può arrivare fino a due milioni di giocatori. La potenzialità di crescita enorme di questo sport è riconducibile per gran parte all’attenzione che i giovani gli stanno prestando negli ultimissimi anni. Se volessimo tener presente il coefficiente di crescita del padel, che è intorno al 20-25% ogni anno, si intuisce piuttosto facilmente che nel medio periodo i numeri del padel saranno sempre più vicini a quelli del tennis. Pertanto non potevamo non dare piena dignità al padel all’interno della nostra organizzazione”

padel
Il padel ora se la gioca con il tennis – Wansport Blog

Gli ultimi dati diffusi nel 2020 dal Coni sono piuttosto chiari sotto questo aspetto: i tesserati del tennis erano più di trecentomila (solo nel calcio si contano più tesserati in Italia). La Federazione ha ormai preso atto che il padel si sia oramai affermato, superando la fase di espansione iniziale agevolata anche dalla pandemia e dalle restrizioni ad esse associate per lo sport (il tennis o il padel non sono sport di contatto).

Un po’ di dati sul padel

Nasce nel 1969 in Messico e diventa super popolare negli anni successivi principalmente in Spagna e in Argentina e in pochissimi altri paesi. Chi credeva che in Italia il padel potesse rappresentare solo una moda passeggera ha evidentemente sbagliato previsione: nella realtà la disciplina è in continua espansione e sta generando un business molto attraente tra gli imprenditori dello sport, in primis ex sportivi che hanno puntato sul padel organizzando promozioni e tornei. Non mancano le strutture che hanno deciso di destinare spazi a nuovi campi di padel sostituendoli a quelli precedentemente dedicati al tennis o al calcetto. A questi si aggiungono circoli sportivi e nuove strutture dedicate. 

Con la superficie destinata alla creazione di un campo da tennis si possono realizzare fino a tre campi da padel: questo inevitabilmente amplifica la possibilità di fare maggiori incassi per i gestori dei centri sportivi.

I costi per realizzare un campo da padel variano dai 18mila fino a 30mila euro. I prezzi salgono se si decide di dotare il campo di una tensostruttura adatta alla copertura così da poterlo utilizzare anche nei mesi invernali. Sono circa 77 milioni di euro totali le cifre investite solo nelle infrastrutture dedicate alla disciplina. Nell’anno appena trascorso in Italia ogni campo è stato affittato in media per 8 ore al giorno e se consideriamo il prezzo medio di circa 28 euro all’ora ricaviamo un incasso stimato di circa 82mila euro all’anno. 

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il campo da padel – Wansport Blog

Secondo quanto dice l’Osservatorio italiano “Mr Padel Paddle” 10 anni fa in Italia c’erano in tutto 20 campi di padel. Il primo scatto arrivò tra il 2015 e il 2017, quando i campi passarono da 150 a 500. Da quel momento la crescita è stata repentina così come il numero dei praticanti della disciplina. A fine 2021 c’erano oltre 3.500 campi da padel. È un dato enormemente significativo se pensiamo che solo la Spagna aveva più campi (circa 14mila). In terza posizione si piazzava la Svezia con 3.500 unità, a seguire Francia (1.184) e Belgio (1.054). La media in Italia è di un campo ogni 16.000 persone. 

È nel Lazio che si giocano più partite di padel in Italia (circa il 25,1% delle partite complessive). Segue la Lombardia (685) e Sicilia (615). Solo nella provincia della Capitale ci sono quasi 1.200 campi, segue con grosso distacco la provincia di Milano (291 campi) e Torino (253). Ma la diffusione del Padel è ormai ovunque tanto che in regioni come Puglia, Molise, Friuli Venezia Giulia e Campania negli ultimi 6 mesi si è registrato un aumento delle strutture superiore del 50% rispetto al periodo precedente. Oltre alle grandi città anche i piccoli centri si stanno attrezzando con nuove strutture e nuove opportunità per i giocatori: la stima è che a fine 2023 si supererà quota 7.000 campi in tutta Italia.

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La crescita europea del padel

Ormai la crescita è da considerarsi un fenomeno globale. Siamo arrivati a oltre 18 milioni di praticanti attivi nel mondo in oltre 90 paesi. Solo in Europa si sono costruiti più di 10mila nuovi campi tra il 2019 e il 2021 superando quota 26mila distribuiti in circa ottomila club o circoli (in media circa 3,3 campi per ogni struttura ricettiva). Diversi analisti ed esperti ritengono che nel 2025 avremo in Europa oltre 66mila campi che genereranno un volume d’affari di 1 miliardo di euro.

Come si spiega una crescita così alta?

In recente sondaggio condotto su un campione di circa 10mila europei intervistati è venuto fuori che chi pratica il padel dice di divertirsi più facilmente rispetto ad altri sport anche se non si è particolarmente esperti o tecnicamente bravi. 

Inoltre il padel sta diventando sempre più un collante sociale e viene percepito come uno sport “inclusivo” aperto a tutti, senza distinzioni di età, di genere o di forma fisica. Il 38% dichiara di giocare con gente sconosciuta e il 57% dopo la partita va a mangiare insieme ai compagni e avversari mentre il 34% dichiara di prendere lezioni dai maestri di padel.

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Il padel sta diventando un forte collante sociale – Wansport Blog

Alla semplice domanda “ma perché giochi a padel?”, la maggior parte degli intervistati in età compresa tra i 56 e i 65 anni risponde “per divertirmi”. La seconda spiegazione è “per fare attività fisica”. Tra i minorenni invece la risposta più diffusa è “per imparare” (questo dato è estremamente significativo e ci da chiare indicazioni sul fatto che il padel è destinato a crescere ancora). Il 31% degli intervistati dichiara di giocare da meno di un anno, il 32% da non più di due anni mentre solo il 10% ha un’esperienza di oltre 10 anni. 

In Italia il padel viene praticato con una certa regolarità fino agli over 60, più o meno come il tennis. La fascia più attiva è quella tra i 36 e i 46 anni, mentre la fascia 26-35 anni e quella 56-65 anni presentano percentuali simili. Le donne sono il 14%.

In media tra i giocatori amatoriali si giocano 23 partite l’anno (circa 2 al mese) e si prenotano i campi circa 6 giorni prima. Tra gli europei chi va più forte sono i belgi che giocano in media 30 partite all’anno con una media di prenotazione di circa 8 giorni di anticipo. In Spagna le prenotazioni hanno largamente superato i 2 milioni e in media un giocatore gioca 11 partite l’anno (ovviamente è il numero dei praticanti ad essere fuori scala rispetto al resto dell’Europa). Le palline comprate nel 2021 in tutto il mondo per il padel ammontano a circa 15 milioni.

Il padel su internet

Il numero di ricerche su Google della parola “padel” si è triplicato in 5 anni. Nei social network si registra un forte interesse con oltre 1 milione di interazioni che comprendono video delle partite caricate su Twitch e YouTube, post pubblicati su Instagram, TikTok, Twitter e Facebook.

Il padel professionistico

Sta crescendo anche il seguito dei tornei internazionali dedicati ai professionisti, ma è ancora presto per incrementare il livello di competizione della disciplina. Attualmente il numero di giocatori professionisti è ancora piuttosto ristretto e il movimento è sotto il dominio saldo di Spagna e Argentina. Il circuito World Padel Tour organizza dal 2013 tornei in cui si sfidano le migliori coppie del mondo e nella stagione 2022 si sono giocati 24 tornei in 13 paesi differenti.

Premier Padel e altre competizioni nel mondo

All’inizio del 2022 è stato inaugurato il tour mondiale della International Padel Federation (FIP) anche grazie al sostegno del fondo sportivo del Qatar. La FIP, guidata dall’italiano Luigi Carraro (già presidente del Coni e della Federcalcio), riunisce 50 federazioni in tutto il mondo. Il fondo del Qatar ha gonfiato di molto i premi in denaro destinati ai vincitori, tant’è che ci giocano i migliori giocatori al mondo. 

Questo nuovo circuito prende il nome di Premier Padel e ha l’ambizioso obiettivo di superare il World Padel Tour. A maggio del 2022 Il Foro Italico di Roma ha ospitato una tappa del Premier Padel mentre l’ultima tappa si è svolta a Milano all’Allianz Cloud e ha visto la partecipazione dei migliori giocatori di padel del pianeta.

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Dal ’92 si giocano i campionati mondiali di padel dove si sfidano le squadre delle nazionali. A novembre si è svolta l’ultima edizione a Dubai e l’Italia femminile per la seconda volta consecutiva si è piazzata al terzo posto. Ha vinto la Spagna che ha battuto l’Argentina (e chi altri?) per 2 a 0. E’ andata un po’ maluccio per la squadra maschile fuori dai primi otto posti, mentre quest’anno ha vinto l’Argentina che nell’edizione precedente arrivò seconda.

L’obiettivo dichiarato della FIP è quello di rendere il padel una disciplina olimpica entro i giochi del 2032 a Brisbane in Australia. Nel frattempo il padel è entrato a far parte dei giochi sudamericani disputati ad Ottobre in Paraguay e in Europa sarà uno degli sport in programma ai giochi di Cracovia di quest’anno. 

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Pinckleball

Scopriamo il Pickleball, il nuovo sport di tendenza Made in USA

A metà tra il tennis e il padel è uno sport molto popolare negli Stati Uniti e potrebbe esplodere a breve anche in Italia. Scopriamo regole e curiosità del Pickleball.

Pickleball
Come si gioca a Pickleball? – Wansport Blog

Inventato nel 1965 da Joel Pritchard, un membro del Congresso degli Stati Uniti, insieme al suo amico Bill Bell, il pickleball si pone al centro tra il tennis e il padel per regole e somiglianza. Tutto nacque dalla necessità di dare qualcosa da fare ai bambini in vacanza per evitare che si annoiassero troppo inventando di fatto uno sport da fare senza particolari attrezzature difficili da trovare. 

Attualmente negli USA ci giocano oltre 68 milioni di giocatori quasi tutti facenti parte della Generazione Z, ovvero i nati tra il 1997 e il 2015. La pandemia ha accelerato una crescita che sembrava già piuttosto repentina: l’amministratore delegato di USA Pickleball ha detto che in circa 18 mesi il numero dei giocatori è raddoppiato. Ben 37 paesi ora fanno parte della International Pickleball Federation. Siamo lontani dall’obiettivo minimo di 70 paesi, che permetterebbe al pickleball di essere promosso a disciplina olimpica ma molti sono pronti a scommettere che presto potrà essere raggiunto.

Pickleball
Molti giovanissimi giocano a Pickleball in USA. Sarà così anche in Europa?

Come si gioca a Pickleball

Per chi gioca a tennis o a padel, il pickleball appare subito molto familiare: prevede l’uso di una racchetta e di una pallina in un campo da Badminton. Si può praticare sia in singolo che in doppio in un campo al chiuso o all’aperto. Ci si aggiudica la vittoria quando si arriva al punteggio massimo che può essere di 11, 15 o 21 punti. La regola sul rimbalzo della palla è la stessa del tennis, ovvero può ribalzare massimo una sola volta nel campo prima di essere colpita.

La battuta, da effettuare sulla linea di fondo del campo, è simile a quella del padel (ne abbiamo parlato diffusamente qui), la palla deve essere destinata alla parte del campo avversario diametralmente opposta a quella da cui si batte. Se la palla rimbalza nella giusta parte di campo destinata al ricevitore allora quest’ultimo può ribattere e iniziare lo scambio. La palla in battuta non può toccare la rete (è prevista una seconda battuta solo in doppio) e non può finire nella cosiddetta “area kitchen” (cucina, in inglese). Questa area è quella a ridosso della rete dove è proibito colpire la palla al volo, ma deve rimbalzare una volta a terra. 

Quando si assegnano i punti nel pickleball

Dopo aver definito le regole base del pickleball, diamo un’occhiata a come si assegnano i punti:

  • Quando la palla rimbalza due volte nel campo avversario senza che esso riesca a respingerla
  • Quando la risposta dell’avversario finisce in rete e cade nella stessa porzione di campo
  • Quando la risposta finisce oltre i confini del campo 
  • Quando si colpisce al volo nell’area “kitchen” altrimenti chiamata “non volley zone

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Uno sguardo alle differenze con il tennis e con il padel

Come avete potuto intuire facilmente il regolamento è molto simile a quello del tennis, ma naturalmente ci sono delle differenze sostanziali che richiedono naturalmente un diverso approccio al pickleball. 

Sono 3 gli aspetti verso i quali il pickleball differisce dal tennis e dal padel: il campo, la racchetta e la palla.

Il campo di Pickleball
Il campo di Pickleball

Il campo

E’ diviso da una rete alta poco più di 80cm, misura 13,40 metri di lungheza e 5,60 metri di larghezza per il torneo singolo e 6,10 metri per le partite in doppio. Il campo, pertanto, è decisamente più piccolo rispetto a quello da tennis o da padel.

La racchetta di Pickleball
La racchetta di Pickleball

La racchetta

Anche la racchetta presenta una differenza notevole: sono più piccole e piatte. Rispetto alla racchetta da tennis la forma è diversa, infatti ha una forma rettangolare e non ovale, mentre l’impugnatura, più corta, ricorda quella delle racchette di padel.

La palla di Pickleball
La (strana) palla di Pickleball

La palla

La vera novità è rappresentata dalla palla di pickleball: la grandezza è uguale a quella delle classiche palle da tennis e padel mentre il peso è decisamente inferiore essendo una palla di plastica sostanzialmente vuota all’interno con tanti piccoli fori per far passare l’aria (utile per contrastare il vento soprattutto nelle partite outdoor).

Il Pickleball nel Bel Paese

La presenza del pickleball in Italia è ufficialmente partita nel 2018, anno di fondazione dell’Associazione Italiana Pickleball (AIP) con sede a Tocco da Casauria nella provincia di Pescara. Ed è qui che sono stati costruiti i primissimi campi di pickleball e dove si allena la rappresentativa italiana. L’AIP fa parte ufficialmente della International Pickleball Federation. La federazione internazionale ha organizzato nel 2018 in Italia la seconda edizione della Bainbridge Cup. In questa competizione si scontrano team rappresentativi dell’Europa e del Nord America. Gli Usa sono evidentemente la nazione più forte in questa disciplina da pochissimo sbarcata in Europa, ma diversi analisti sportivi ritengono che presto, dopo la febbre del padel e senza dimenticare cosa è stato il 2022 per il tennis italiano, il pickleball possa diventare un trend molto importante da qui a poco.

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yoga

Dopo quanto tempo si ottengono i benefici dello yoga?

Che lo Yoga sia fonte di benessere fisico e mentale oramai è un fatto accertato. Ma dopo quanto tempo il corpo e la mente iniziano a beneficiarne? Proviamo a rispondere.

yoga
Dopo quanto tempo si ottengono i benefici dello yoga? – Wansport Blog

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, diceva il noto scrittore aviatore Antoine de Saint-Exupéry nel suo “Il piccolo principe”. Questa frase calza in modo molto pertinente quando si parla di yoga e dei suoi benefici. Nello yoga, infatti, c’è molto più di quello che gli occhi possono vedere. 

I benefici e gli effetti positivi dello yoga su una persona vanno oltre il cambio fisico, dei muscoli più tonici e un corpo più flessibile. A rendere unica questa disciplina sono il manifestarsi di una maggiore flessibilità e forza fuori dal tappetino. Quello che viene sperimentato durante le sessioni di yoga poi si apprende anche nella vita di tutti i giorni. Perché lo yoga è essenzialmente l’arte di apprendere se stessi e gli altri così da mettere in pratica gli insegnamenti e migliorare il proprio benessere psico fisico. 

Possiamo considerala una sorta di “arte marziale” che ci supporta nelle sfide della quotidianità. 

Molti si fanno spesso questa domanda: “ma dopo quanto tempo ottengono dei benefici tangibili dal praticare yoga?”. Vediamolo insieme.

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Flessibilità dentro e fuori il tappetino

I benefici psicologici dello Yoga

Praticando l’Asana (le posizioni), la Pranayama (concentrazione sulla respirazione) e la Meditazione è possibile sperimentare un effetto benefico immediato. Si avverte uno stato di benessere, di stabilità e di tranquillità, con maggiore flessibilità mentale e niente cambi di umore. Più ci si addentra nella pratica Yoga più cambiamo il nostro punto di vista, accettiamo molto di più il presente e aumenta il senso di gratitudine. Le prospettive e le priorità si normalizzano, aprendosi ad una prospettiva molto più ampia dell’esistenza.

Uno dei più importanti insegnamenti dello yoga è che siamo tutti uguali nelle nostre peculiari differenze, questo senso di unicità degli individui diventa sempre più importante e contribuisce ad un cambio di approccio mentale verso sé stessi, gli altri e le cose che ci accadono.

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L’Asana per un corpo più tonico

I benefici scientifici dello yoga

È ormai da molti anni che c’è una reale evidenza scientifica sui benefici dello yoga per il nostro corpo e per la mente. In molti casi è dimostrato che praticando questa disciplina si contribuisce ad alleviare numerosi disturbi e sintomi cronici. In uno studio di qualche anno fa e molto citato dell’Erasmus University Mediacal Center di Rotterdam, lo yoga contribuisce fortemente a ridurre il rischio di malattie cardiache e protegge dalla sindrome metabolica

Chi pratica yoga ha un minor rischio di colesterolo alto, di pressione alta e obesità grazie agli esercizi che aumentano forza e flessibilità, migliorano la respirazione e diminuiscono la pressione arteriosa. 

Come se non bastasse funziona benissimo contro il mal di testa, i dolori mestruali e l’insonnia, oltre a prevenire molti dei disagi tipici della menopausa.

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yoga
L’equilibrio si raggiunge con la pratica

Benefici dello yoga, dopo quanto tempo

Vediamo adesso nel dettaglio i benefici dello yoga nel breve, medio e lungo periodo.

I benefici a breve termine

  • Riduzione dello stress
  • Aumento della concentrazione
  • Aumento della flessibilità 
  • Diminuzione della rigidità 
  • Migliora la memoria
  • Aumenta la capacità di apprendimento
  • Maggior senso di rilassatezza mentale

Questi benefici sono tangibili già dopo la primissima lezione. La costanza e la determinazione a continuare il percorso consente di sperimentare altri effetti benefici

I benefici a medio termine

Dopo alcuni mesi di pratica costante lo yoga può darti molto di più:

  • Riduzione dei dolori cronici e del mal di schiena
  • L’addome si affina e si perde la classica pancetta al centro vita
  • Riequilibrio della pressione del sangue
  • Miglioramento della sessualità
  • Aumento della capacità polmonare
  • Diminuzione dell’ansia e della depressione
  • Miglioramento del sistema nervoso (maggior calma e minor tensione fisica)
  • Minor produzione di cortisolo (l’ormone dello stress) e sempre meno bisogno di junk food (cibo spazzatura)
  • Muscolatura più tonica
  • Maggiore flessibilità del corpo
  • Rafforzamento delle virtù come la pazienza e la calma
  • Maggior percezione del corpo con conseguente maggior attenzione a quello che si mangia
  • Maggiore forza
  • Aiuto nell’autodisciplina

I benefici a lungo termine

Praticando lo yoga per alcuni anni i benefici dello yoga si allargano, aumentando di molto le performance fisiche e mentali aggiungendo alla già ampia lista questi ulteriori e importanti benefici:

  • Le ossa si rafforzano, abbassando il rischio di artrite e osteoporosi
  • Diminuisce il rischio di malattie
  • Riduce problematiche cardiache
  • Il cervello controlla in modo migliore la rabbia e la paura
  • Si ha un approccio più leggero lasciando andare stress ed emozioni spiacevoli più facilmente
  • Riduce l’invecchiamento del corpo

Non è un caso che molti medici consigliano sedute di yoga come parte integrante di terapie o di percorsi di guarigione.

yoga in gravidanza
Lo Yoga in gravidanza dona enormi vantaggi

Per concludere, che si voglia perdere peso muovendosi un po’ oppure per aiutare se stessi a riprendersi da un trauma fisico o emotivo, gli enormi vantaggi di praticare yoga sono sperimentabili da chiunque, con benefici assicurati.

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gamification

Parliamo di Gamification

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di nuovi modi per coinvolgere gli utenti attraverso strumenti che stimolano competizioni e sfide per restare in forma: la gamification spiegata semplice

Qualcuno di voi potrebbe non aver mai sentito parlare di “gamification”, anche se tutti noi abbiamo molto spesso incrociato questa pratica nel vivere quotidiano in molti modi e in diverse forme. Possiamo intendere la gamification come sinonimo di convergenza tra il mondo dei video giochi e molte altre realtà che vanno da nuovi ed efficaci strumenti di apprendimento fino al marketing dedicato al coinvolgimento e alla fidelizzazione degli utenti. Cerchiamo di capirci qualcosa di più.

la gamification nello sport
La gamification e lo sport: un connubio annunciato

Che cos’è la gamification

Con il termine “gamification” intendiamo un modo strategico di potenziare servizi, sistemi, attività o intere organizzazioni con il fine di creare esperienze ludiche inclusive simili a quelle di un videogioco, con il principale obiettivo di aumentare il coinvolgimento degli utenti.

Wikipedia dice: “Traendo vantaggio dall’interattività concessa dai mezzi moderni ed ovviamente dai principi alla base del concetto stesso di divertimento, la Gamification rappresenta uno strumento estremamente efficace. Può essere in grado di veicolare messaggi di vario tipo, a seconda delle esigenze, e di indurre a comportamenti attivi da parte dell’utenza, permettendo di raggiungere specifici obiettivi, personali o d’impresa. Al centro di questo approccio va sempre collocato l’utente ed il suo coinvolgimento attivo.

Il principio alla base della ludicizzazione è quello di utilizzare le dinamiche e meccaniche del gioco:

  • Punti da accumulare;
  • Livelli da raggiungere;
  • Ricompense o doni da ottenere;
  • Distintivi da esibire;

per stimolare alcuni istinti primari di un essere umano: competizione, status sociale, compensi e successo.

Cosa si ottiene? Una corretta integrazione di principi legati al mondo del game design calato in contesti che spesso e volentieri non riguardano prettamente il mondo dei videogiochi ma che in tramutano attività quotidiane in azioni sfidanti con gli altri o con se stessi. 

gamification
Nuovo distintivo da esibire con la community?

Un esempio virtuoso per comprendere meglio il concetto di Gamification è rappresentato dall’app Runstastic che è certamente diventato un case history molto studiato e imitato. L’idea di Runtastic è relativamente semplice e probabilmente per questo motivo capace di affermarsi come una delle idee di gamification maggiormente ben concepite. 

Il principio di base, infatti, è davvero basilare: prevede il tracciamento delle prestazioni di un utente durante lo svolgimento dell’attività sportiva. Queste statistiche convergono in un database dove ogni utente può confrontarsi con i propri amici o con potenzialmente tutto il mondo.

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Mettersi in gioco (letteralmente)

L’obiettivo principale della gamification è spingere l’utente a mettersi letteralmente in gioco, in solitario o in modalità cooperativa al fine di ottenere un riconoscimento (un premio o in generale qualcosa che può sfoggiare all’interno della community). 

gamification
Mettersi in gioco e stimolare a fare meglio: la Gamification nello sport

E’ piuttosto chiaro che il concetto di gamification nasce prevalentemente da una innovazione di marketing per offrire agli utenti delle esperienze coinvolgenti, memorabili e facilmente condivise per aumentare le probabilità che l’iniziativa diventi virale.

Ma quindi si tratta solo di questo? Solo un altro strumento di marketing? Non esattamente, o in generale sarebbe quantomeno riduttivo pensarlo solo da questo punto di vista. L’intento pubblicitario (che certamente c’è) è una conseguenza più che lo scopo principale. Lo scopo principale è coinvolgere, risultare interessanti, associare il proprio brand a dei valori che gli strumenti tipici di un gioco riescono a mutuare molto più facilmente.

Cosa ci riserva il futuro?

Il concetto che sta alla base della gamification, come possiamo immaginare, è molto complesso e intriso di sfaccettature che, spesso e volentieri, vanno oltre i semplici aspetti ludici e di divertimento. La gamification è spesso risultata cruciale nell’ambito dell’apprendimento e della formazione: il gioco, infatti, ha la capacità di essere un veicolo incredibilmente efficace nelle scuole in quanto riesce a far passare nozioni che normalmente annoierebbero in una “missione” sfidante e coinvolgente che prevede:

  • Interazione: l’utente viene stimolato e invogliato a ragionare e a fare azioni propedeutiche al ragionamento di base
  • Collaborazione: obiettivi comuni che possono essere ottenuti solo unendo le forze
  • Apprendimento: che è l’obiettivo principale reso però decisamente più divertente

I processi di gamification si stanno espandendo in diversi ambiti: dall’apprendimento, alla formazione, agli allenamenti e in generale a tutte le attività che prevedono il coinvolgimento come elemento fondamentale.

La gamification nello sport
Fitness e Gamification

Gamification nello sport

Se associamo la gamification in una esperienza legata al fitness è possibile creare un ambiente divertente e stimolante per gli utenti. Come accade nella maggior parte dei giochi, se associamo esperienze di fitness con la gamification è probabile che si svilupperà una sorta di dipendenza in quanto gli utenti vorranno affrontare, vincere e mettersi alla prova con sempre nuove sfide. Tutto questo aumenta la fedeltà e la fidelizzazione dei clienti, desiderosi di cimentarsi nelle sfide successive. Dopotutto, se pensiamo alle prime esperienze in ambito sportivo fatte durante l’infanzia, l’attività motoria veniva spesso e volentieri veicolata attraverso giochi di squadra o individuali in cui raggiungere un obiettivo e proclamare un vincitore.

la gamification nello sport
Quale sarà la mia prossima sfida?

Queste logiche valgono anche nel mondo adulto che spesso cerca esperienze tali per poter dare sfogo allo spirito competitivo. Il progresso tecnologico poi ha fatto il resto, permettendo di integrarsi in molti aspetti della vita quotidiana e, naturalmente, anche nello sport praticato.

Proponi la Gamification con Wansport

In questo panorama ludico-sportivo così interessante Wansport è in prima linea. 

Grazie alla nuova app di Wansport, infatti è possibile aggiungere nel proprio profilo il livello di gioco dell’utente (si può aggiungerlo in autonomia attraverso un sofisticato sistema di rating oppure farlo valutare direttamente dall’istruttore del Club). 

Stabilito il proprio livello alcuni giocatori potrebbero essere stimolati a migliorarlo aumentando il proprio rating, raggiungendo obiettivi, auto sfidandosi a fare sempre meglio, superando gli altri utenti in classifica.

La Nuova App Wansport – Il Ranking

Scala le Classifiche

Tramite la App Wansport sarà inoltre possibile sfidare, nelle varie competizioni sportive previste, altri giocatori in classifica. Il sistema infatti valuta il livello di “power” del singolo giocatore e assegna un punteggio per ogni partita competitiva. Se l’utente sfida e vince contro un giocatore sulla carta più forte, il sistema lo premierà assegnandoli bonus e punteggi aggiuntivi che permetteranno di salire in classifica e diventare una “preda” ambita per gli altri giocatori con lo stesso intento.

Vuoi avere una dimostrazione di cosa può diventare il tuo centro sportivo con Wansport?

riforma dello sport

La riforma dello sport, spiegata

Dal 2023 partono nuove regole per circa 750mila lavoratori del mondo dello sport: quali sono le novità della riforma

La riforma del lavoro sportivo, modificata dal Governo Draghi lo scorso 29 settembre entrerà in vigore dal 2023. Come detto dal sottosegretario con delega allo Sport Valentina Vezzali avrà un impatto su circa 750mila lavoratori e 60mila datori di lavoro operanti nel settore sportivo. La parte più importante del provvedimento, il decreto legislativo 36/2021 è il riconoscimento di una tutela sia assicurativa che previdenziale per gli operatori del settore in caso di maternità per atlete e per istruttrici, come anche la malattia e gli infortuni.

Nasce la categoria dei lavoratori dello sport

Dal 1° Luglio, di fatto, esisteranno lavoratori che operano nelle società sportive professionistiche o società sportive dilettantistiche, dietro un corrispettivo. Non esisterà più la figura dell’amatore (che inizialmente era prevista dal Dlgs 36/2021), ma potranno collaborare con gli enti sportivi volontari solo a titolo gratuito con la possibilità di ricevere solo rimborsi spese.

Dal 2023 anche i tesserati possono rientrare tra i lavoratori sportivi a condizione che eseguano attività atte all’espletamento dell’attività sportiva, identificabili per esempio da delibere federali, escluse quelle di carattere di carattere amministrativo-gestionale. In questa segmento rientrerebbero pertanto i manager, gli osservatori, gli addetti agli arbitri e data analyst, così come le nuove figure professionali che dovessero affermarsi in futuro.

Nella pratica chi opera nel settore sportivo potrà essere qualificato come lavoratore subordinato, autonomo o co.co.co. Di norma nelle società sportive professionistiche l’ambito di qualifica sarà quello di un rapporto di lavoro subordinato, salvo eccezioni: ad esempio chi pratica sport e non ha il vincolo di frequenza delle sedute di allenamento o la sua prestazione contrattuale non sia maggiore di otto ore settimanali o di cinque giorni al mese (30gg all’anno) il rapporto è di lavoro autonomo e non subordinato. Ad ogni modo, il contratto non potrà essere a termine per più di 5 anni. 

Per quanto riguarda l’ambito dilettantistico, invece, la riforma dello sport applica un criterio temporale: l’ambito di lavoro sarà quello degli autonomi o co.co.co. se la durata della prestazione lavorativa, in coerenza con i regolamenti federali e degli organi riconosciuti, non superi le 18 ore settimanali (ad esclusione del tempo dedicato alle manifestazioni sportive).

La riforma dello sport: vincolo e Apprendistato per i vivai

Per rendere più agevole la cura dei vivai e la formazione, sia le società sportive professioniste che quelle dilettantistiche potranno stipulare contratti di apprendistato con ragazzi a partire dall’età di 15 anni (non più dai 18 anni) e fino a 23 anni.

Specialmente per gli atleti più giovani viene eliminato l’istituto del vincolo sportivo dalla prossima stagione (dal 1° luglio 2023). Al termine dell’annata, pertanto, il tesseramento per un club o una squadra non avverrà più in modo automatico, ma deve essere esplicitato il volontario rinnovo.

Questo potrebbe comportare per le società, in special modo per i settori giovanili, la perdita dei migliori talenti, vanificando di fatto tutti gli sforzi compiuti per formarli e allevarli alla disciplina sportiva. Per far fronte a questo scenario, è previsto che si possa assegnare loro un premio di formazione tecnica contestualmente alla firma del primo contratto di lavoro sportivo del giovane atleta la cui entità è appannaggio delle federazioni. Circa l’entrata in vigore di questa novità diversi operatori del settore stanno richiedendo altro tempo. Ad esempio Gianni Petrucci, presidente della Federbasket ha chiesto che la norma possa essere rinviata a luglio 2025 con l’assicurazione di un regime transitorio della durata di due stagioni. E in generale, sempre Petrucci, auspica che le altre novità riguardanti il lavoro sportivo possano entrare in vigore non a metà stagione, come è attualmente previsto, ma al termine, ovvero dal 1° luglio 2023.

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Cosa succede alle Società dilettantistiche

Le società sportive dilettantistiche avranno la possibilità di svolgere attività “diverse, secondarie e strumentali” solo però se esplicitamente previste dal loro statuto ed entro dei paletti quantitativi che saranno individuati e stabiliti attraverso un decreto successivo. 

Gli incassi che derivano da accordi di sponsorizzazione, promopubblicitari, cessione dei diritti e delle indennità associate alla formazione degli atleti e dalla gestione di strutture ed impianti sportivi non possono rientrare nei limiti massimi previsti dalle attività considerate “diverse”.

Questo però a patto che non si tratti di realtà dilettantistiche che godono dell’agevolazione fiscale legate alla “de-commercializzazione” dei corrispettivi incassati da tesserati e/o soci (ad esempio il pagamento delle rette o delle quote associative) che non possono effettuare la distribuzione degli utili. In questo caso la riforma prevede che le società sportive in tale tipologia possano ripartire massimo il 50% degli utili che hanno prodotto e fino all’80% per le società che gestiscono impianti sportivi e piscine.

Wansport è già pronta per accogliere tutte le novità della riforma dello sport

tennis italiano

Il gran momento del tennis italiano

In poco meno di vent’anni il tennis maschile è passato dal punto più basso della sua storia all’essere il più promettente al mondo. Come è successo?

Il tennis è definito lo sport elitario per antonomasia: centinaia di persone nel mondo lo praticano saltuariamente, circa dieci milioni di persone lo praticano con buona regolarità e i professionisti sono poche migliaia.

Fra questi ultimi, solamente chi è tra le prime duecento posizioni nelle classifiche mondiali (sia maschile che femminile) riescono a trasformare il tennis in una professione remunerativa. Attualmente, a fine 2022, tra i primi 200 ci sono 19 italiani. E’ un dato oggettivamente impressionante soprattutto se consideriamo la storia del tennis italiano. Consideriamo che l’Italia non ha mai avuto un tennista numero 1 al mondo e consideriamo anche che un italiano non vince uno Slam (la categoria dei quattro tornei più prestigiosi al mondo) da ben 46 anni.

In generale è un dato notevole anche in senso assoluto: infatti sono pochissimi i paesi che ad oggi hanno un numero simile di tennisti nel ranking mondiale. Le altre nazioni che vantano un numero così alto sono Stati Uniti, Argentina e Francia, nazioni con una lunga e prestigiosa storia tennistica. Tuttavia nessuno di loro può vantare una qualità media così alta e soprattutto una età media così bassa. Tra i 19 italiani in top 200, dieci non hanno più di 21 anni. Nella NextGen ATP Finals c’erano Lorenzo Musetti, Mattero Arnaldi e Francesco Passaro: nessun’altra nazione è stata rappresentata da più di un tennista, l’Italia addirittura tre.

Non che sia andata benissimo, ma il tema del tennis italiano è decisamente più ampio rispetto ai singoli risultati e concerne una crescita generalizzata di tutto il movimento tennistico con enormi aspettative sul futuro.

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L’exploit del tennis italiano è un caso?

Matthew Futterman, durante il Roland Garros del 2021 commentò sul New York Times: “Questo torneo e probabilmente anche il futuro del tennis maschile sembrano ad un tratto molto italiani”. Cercando di comprendere il motivo dell’exploit del tennis azzurro la conclusione di Futterman è che l’Italia non avesse “nessuna idea” di cosa l’abbia portata su tali vette e che la causa fosse da ricercare sostanzialmente in una coincidenza fortuita: ovvero quella grazie alla quale quattro giocatori di altissimo livello erano semplicemente nati in Italia più o meno negli stessi anni.

Indagando a fondo la conclusione è che i motivi sono tutt’altro che casuali. L’Italia ha messo in piedi tutte le condizioni per produrre tennisti di altissimo livello senza dipendere dalla casualità o senza aspettare la nascita di un talento generazionale. 

Non è sempre facile stabilire diretti rapporti causa-effetto, tuttavia è possibile intercettare molte delle ragioni che hanno portato a tali risultati. L’estesa riforma del tennis nazionale iniziata proprio 10 – 15 anni fa ha certamente avuto un ruolo molto importante. A questo si aggiunge un determinante cambio di mentalità che ha coinvolto tutti i livelli del tennis italiano.

Da dove viene il tennis italiano

E’ difficile comprendere la reale portata e l’eccezionalità di questo momento storico per chi si è affacciato al tennis solo in tempi recenti. Dagli anni settanta, cioè dalla generazione di Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Adriano Panatta, il tennis maschile italiano non ha avuto, per numerosi decenni, tennisti tra i primi dieci al mondo, e non ci siamo nemmeno andati vicino.

Il punto più basso della storia del tennis maschile italiano è stato probabilmente toccato nel 2000 dove l’Italia retrocedette in Serie B di Coppa Davis, competizione giocata dalle nazionali più forti (il cosiddetto “gruppo mondiale” si contendeva la coppa giocando una specie di “Serie A”, ora la formula della Coppa Davis è cambiata).

Nonostante avessimo storicamente pochissimi tennisti di altissimo livello, gli azzurri del tennis avevano sempre giocato nel “gruppo mondiale” contando specialmente nel doppio, che all’epoca era una specialità particolarmente di peso in Coppa Davis. Retrocedere fu un enorme smacco per tutto il circuito italiano. 

Tuttavia l’umiliazione dette una grossa svegliata alla federazione che capì che era necessario riformare l’intero sistema del tennis italiano.

L’Italia tornò nel “gruppo mondiale” solamente nel 2011 grazie all’ascesa nel circuito mondiale tennistico di Fabio Fognini (oggi 35enne ancora in attività) considerato uno dei tennisti italiani più forti di sempre. I risultati raggiunti da Fognini però sembravano essere un’eccezione dentro un panorama nazionale ancora deludente. Tennisti di buon livello come Andreas Seppi o Filippo Volandri e prima di loro Andrea Gaudenzi o Omar Camporese non sono mai riusciti a raggiungere l’olimpo dei tennisti di altissimo livello e hanno vinto pochissimi tornei.

Attualmente un tennista come Lorenzo Sonego, considerato di livello lievemente inferiore a tennisti azzurri come Sinner, Berrettini e Musetti, che ad oggi occupa il 45esimo posto della classifica mondiale ha vinto tre tornei ATP (il circuito top a livello professionistico) in due anni.

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Inizio della rivoluzione

Laura Golarsa, commentatrice per Sky Sport ed ex tennista italiana ha un’idea piuttosto chiara: “i ragazzi che giocano bene in Italia ci sono sempre stati, solo che prima non c’era un percorso: c’erano i circoli e poi per via diretta la federazione. Quest’ultima investiva su due ragazzi per volta quando avevano 16 anni, ma se sono forti a quell’età poi non è detto che esplodano”. Grazie alla conoscenza degli errori fatti in passato “molti tennisti che avevano smesso di giocare si sono rimessi in gioco come coach piuttosto che come maestri di circolo, per aiutare i giovani a fare un pezzo di percorso che mancava”.

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La strategia mediatica: SuperTennis TV

Il primo passo fatto dalla federazione fu rivolto al settore mediatico. L’idea era che il tennis italiano fosse poco seguito e non ben raccontato. Nel 2008 la Federazione lanci il suo canale televisivo SuperTennis, tutt’ora in chiaro. 

L’inizio non fu semplicissimo, si trasmettevano praticamente solo repliche e i commenti tecnici venivano fatti da telecronisti non particolarmente esperti. Tanto che la maggior parte degli adetti ai lavori giudicarono l’investimento della federazione un azzardo inutile.

Dopo 14 anni SuperTennis è molto cresciuta: ha acquistato diritti televisivi di importanti tornei mondiali e di fatto ha reso il tennis l’unico sport che è possibile vedere in chiaro anche ad altissimo livello. Su SuperTennis vengono inoltre trasmette tutte le partite degli italiani e italiane e, nel giro di poco tempo, questa strategia è risultata decisiva: ha permesso al pubblico di poter seguire i propri connazionali e di affezionarsi ai giocatori, e di tifarli. Inoltre è l’unico canale in cui poter vedere molti tornei femminili (le televisioni maggiori spesso non acquistano i diritti).

Intorno all’anno 2010 la federazione implementò diverse riforme con l’obiettivo di modificare profondamente il settore giovanile e il canale tv risultò un ottimo megafono per pubblicizzarle e per diffondere il nuovo modo di pensare.

Il Progetto campi veloci

Diversi esperti e dirigenti del tennis italiano sono concordi nel giudicare il “progetto campi veloci” una delle riforme cruciali di questi anni. Nel linguaggio tennistico vengono definiti veloci i campi in cemento, rispetto ai campi lenti della terra rossa. Questa distinzione sta ad indicare la velocità della palla: nei campi di cemento la palla corre più veloce rispetto alla terra rossa dove il gioco è più lento per via del rimbalzo più controllato.

Storicamente nel Bel Paese la stragrande maggioranza dei campi da tennis è (o meglio lo è stato fino al 2010) è in terra rossa. Possiamo considerarla una sorta di tradizione così come avere tennisti italiani più competitivi proprio su questo tipo di superficie. Non è un caso se gli Internazionali d’Italia giocati a Roma si giocano sulla terra rossa. Secondo Laura Galorsa questa caratteristica è dovuta prevalentemente ad una mentalità “da circolo” dove, per venire incontro alle esigenze dei tennisti più anziani, che solitamente preferiscono giocare sul morbido.

Nel tennis professionistico, tuttavia, i tornei principali vengono giocati sul cemento. È sul cemento che si assegnano i punti che servono a scalare le classifiche dei professionisti, pertanto è assolutamente necessario formare i tennisti a giocare su questa superficie fin dalla tenera età. In Italia però praticamente tutti i tornei giovanili si giocavano in terra rossa. 

Roberto Commentucci, ex dirigente della federazione e uno dei maggiori promotori del progetto raccontò: “Osservando i dati relativi alla distribuzione dei tornei organizzati in superficie in ciascun paese, è emerso che un giovane spagnolo durante il suo percorso di crescita gareggiava sui campi veloci tre volte più spesso rispetto ad un giovane italiano”. Furono costruiti più o meno 450 campi veloce nei primi 5 anni di progetto e su questa operazione l’aiuto economico della federazioni verso i circoli fu assolutamente determinante.

Un cambio di mentalità dei maestri di tennis italiani

Sulla scia del cambiamento anche i corsi federali dei maestri subirono un cambio di passo. Il focus ricadde su aspetti di gioco che prima non erano considerati importanti. 

Il commentatore tecnico di Sky Sport ed ex tennista Paolo Bertolucci ha detto: “Prima in Italia si giocava praticamente solo su terra battuta e spesso all’aperto: in tali condizioni il servizio non era così determinante, si allenava soprattutto il rovescio e il dritto”. Ora invece i tennisti italiani sono decisamente più versatili e possiedono un servizio nettamente più solido, un colpo che fa una enorme differenza soprattutto nei campi di cemento. Matteo Berrettini, ad esempio, ha uno dei migliori servizi in circolazione. 

Al “progetto campi veloci” fu affiancata una importante riforme del settore tecnico che 2010 portò alla rifondazione dell’istituto di formazione federale per gli aspiranti maestri di tennis. E’ in questa riforma che furono inseriti corsi più specifici per ogni figura professionale che accompagna l’atleta nel tennis moderno: preparatori fisici, mental coach, fisioterapisti, maestri di tennis e altro.

La riforma della federazione nel 2015

Un altro punto chiave della riforma del tennis italiano fu quando si iniziò a mettere in dubbio il consolidato percorso giovanile che intraprendevano i ragazzi destinati al professionismo. Prima del 2015 la federazione selezionava un paio di giovani che venivano ritenuti i più promettenti e venivano allenati al centro di preparazione olimpica di Tirrenia, in Toscana. centro gestito direttamente da CONI.

Qui i ragazzi arrivavano prima di compiere 16 anni, allontanandosi dalle famiglie e dedicandosi al tennis in maniera esclusiva. Fabio Fognini, ad esempio, ha fatto questo percorso, così come la tennista Camilla Giorgi.

Questa modalità aveva prodotto in passato campioni del tennis come Panatta, Bertolucci e Barazzutti, formati nel centro olimpico di Formia in Lazio, per cui si riteneva che fosse una sorta di “ricetta collaudata” per far emergere campioni. Tuttavia i difetti del metodo erano emersi in modo piuttosto chiaro nei decenni successivi.

Fu chiaro infine che un passaggio così brusco nell’adolescenza nei giovani e promettenti tennisti italiani era troppo duro e pesava non poco sulla loro vita. Il risultato era che erano davvero pochissimi quelli che riuscivano a raggiungere la vetta del professionismo e ad avere una carriera stabile. Molto ragazzi, infatti, finivano per rinunciare. 

Senza considerare che questa metodologia escludeva giovani tennisti che magari sarebbero potuti emergere più tardi. Dello stesso avviso è anche Bertolucci: “Ci sono campioni di Wimbledon Under 18 mai visti nel circuito, figuriamoci a 13 o 14 anni: a quell’età come si fa a capire se un ragazzo ha veramente l’ambizione di diventare famoso e di girare il mondo, se fisicamente è adatto a competere ad alti livelli e se ha la necessaria forza mentale e la fame di vittoria”.

Il tennis è uno sport davvero per pochissimi, come detto solo 200 sono ad alti livelli. Per restare lì è necessario possedere un mix di doti fisiche, tecniche, atletiche e una grande forza mentale. Per questo l’obiettivo della federazione è scovare quanti più giocatori “medi” possibili: “A 12-14 anni io non voglio uno forte, ne voglio sei discreti: tra di oloro è più probabile che ce ne sia uno con più voglia degli altri e che possa diventare un giocatore forte”.

Lo sforzo intrapreso dalla federazione fu quello di incrementare in modo capillare la sua presenza in tutto il territorio nazionale, con l’inaugurazione di decine di centri intermedi i quali potevano essere frequentati sin da bambino:

  • I centri di aggregazione provinciale (CAP) dagli 8 ai 10 anni
  • I centri periferici di allenamento (CPA) dagli 11 ai 15 anni
  • I centri tecnici periferici (CTP) dai 16 anni in su

Nei CTP è possibile risiedere in pianta stabile e avere l’affiancamento di tecnici federali. A Tirrenia oggi si arriva avendo almeno 17 anni, ma oramai non è più un passaggio fondamentale nella preparazione fisica e tecnica dei giovani tennisti italiani.

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La nuova organizzazione della federazione

Il nuovo sistema funziona più o meno così: la federazione ha osservatori in tutte le province che girano i circoli e segnalano i migliori giovani. Questi ultimi vengono invitati a partecipare a raduni periodici che si tengono nei centri intermedi. I ragazzi vengono accompagnati spesso dai loro allenatori e si inseriscono gradualmente nell’ambiente federale senza inutili forzature, ma incoraggiando i giovani a conoscersi e a fare amicizia.  La federazione in questo modo ha la possibilità di seguirli più da vicino e soprattutto a venire incontro alle esigenze dei giovani tennisti, mantenendo stretti rapporti con i loro allenatori. Inoltre quando crescono la federazione mette a disposizione figure professionali che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. Questi passaggi intermedi garantiscono una selezione naturale delle nuove generazioni di tennisti in modo fluido, naturale e con un percorso di accompagnamento adeguato ai contesti e alle età.

Tutto questo ha avuto un risultato immediatamente tangibile: si stima che ad oggi i tesserati tra i giovani dai 16 ai 18 anni sia almeno il triplo rispetto al 2005-2006. Con tali numeri la probabilità che emerga un talento aumenta sensibilmente.

Il Progetto over 18

Qualche anno più tardi venne inaugurata una nuova iniziativa che prese il nome in “progetto over 18” con l’obiettivo di sostenere i ragazzi più grandi nel delicato passaggio dalle giovanili al professionismo.

Qualche tempo fa a 18 anni si era considerati dei tennisti pronti e lasciati sotto la responsabilità ai team per tentare di entrare nel circuito. Tuttavia per diventare professionisti bisogna spendere moti soldi per trasferte, rinunciare a molti svaghi tipici di quell’età e fare i conti con molte sconfitte. La federazione con il “progetto over 18” segue più da vicino i ragazzi e i loro team, finanziando le trasferte più costose e aiutandoli nella programmazione.

Probabilmente non è una coincidenza che i primi due giovani inseriti in questo progetto siano stati Sonego e Berrettini. Entrambi cresciuti insieme ed entrati fra i primi 100 al mondo con calma e senza fretta, rispettivamente a 24 e a 22 anni. 

Con il vecchio sistema un tennista come Matteo Berrettini sarebbe stato molto complicato emergere in quanto a 16 anni Matteo aveva un ranking piuttosto basso per un aspirante professionista. 

Circa la crescita di Berrettini e Sonego, Roberto Commentucci, durante un’intervista ha raccontato: “Tempo fa li mandammo a fare una tournèe di Challanger in Asia, sul cemento, in Cina: spendemmo un sacco di soldi, entrambi vinsero poche partite e fecero pochi punti, però fecero esperienze molto importanti”. Il Challanger è una categoria sotto l’ATP, che è invece il circuito principale ed è molto importante in quanto aiuta ad avere un approccio graduale al professionismo perché ti consente di affrontare avversari internazionali e iniziare a guadagnare i primi punti in classifica.

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L’Italia al centro del tennis mondiale

Non è un caso che l’Italia è la nazione in cui si organizzano più tornei di Challanger al mondo: ben 28, rispetto ai 21 degli USA, i 18 della Francia e i 12 della Spagna. Organizzare i Challenger in casa può fare una certa differenza perché rende possibile affrontare sfide internazionali senza dover affrontare trasferte onerose rimanendo vicini alla propria casa e alle proprie famiglie.

Se i Challanger hanno l’utilità principale nel far crescere i giovani talenti, i grandi eventi avvicinano i tifosi e incentiva indirettamente nuove generazioni ad avvicinarsi al tennis. L’Italia anche sotto questo aspetto è in prima linea: negli ultimi anni si è aggiudicata importanti bandi per ospitare diversi tornei fra i più prestigiosi come la Next Gen ATP Finals e le ATP Finals, quest’ultimo considerato un torneo elitario dove si affrontano i migliori 8 tennisti al mondo e che se terrà a Torino fino al 2025.

L’ultima edizione delle ATP Finals, svoltasi a Torino a metà novembre, non aveva nessun italiano. Leggendo i titoli dei giornali questa rappresentava una notizia piuttosto importante e inaspettata, a dimostrazione del fatto che le aspettative verso i tennisti italiani sono diventate sempre più alte negli ultimi anni (ricordiamoci che prima della partecipazione di Berrettini nel 2019 l’ultimo tennista azzurro vi ha partecipato nel 1978).

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L’effetto traino

Molti analisi e commentatori ritengono che questa ambizione del tennis maschile sia dovuta in parte a tennis femminile che nel decennio precedente aveva ottenuto due notevoli vittorie negli slam in singolare con Francesca Schiavone nel 2010 e con Flavia Pennetta nel 2015, oltre a svariate finali con altre tenniste. 

Quello che molti definiscono “effetto traino” è un elemento di non poco conto che aiuta a spiegare la crescita esponenziale del tennis nostrano. “Se arriva un Berrettini che va in finale a Wimbledon, quello che a tutti noi sembrava impossibile, improvvisamente diventa possibile”, dice Golarsa. 

Tutti gli investimenti che la federazione sostiene sono considerati a fondo perduto ad una sola condizione: che una volta cresciuti i tennisti italiani non rifiutino le convocazioni in Coppa Davis.

Quest’ultima, vinta dagli azzurri una sola volta nella storia nel 1976 è una competizione che la federazione ha più volte dimostrato di tenerci molto. Il Presidente Angelo Binaghi, in una intervista recente ha dichiarato di aspettarsi la vittoria entro 4 o 5 anni.

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come si gioca a padel

Come si gioca a Padel?

Regole, punteggi, chi vince e in generale tutto quello che c’è da sapere sullo sport più in crescita in Italia. Scopriamo come si gioca a padel.

come si gioca a padel
Come si gioca a padel – Wansport Blog

Il padel è uno sport che sta registrando una grossa espansione un po’ dappertutto, ne abbiamo parlato qui. E’ ormai conclamato che il padel sia uno sport sano che aiuta a migliorare sia la forma fisica che quella mentale. Favorisce, inoltre, la socializzazione e gli incontri con persone che nutrono le stesse passioni. L’approccio al padel risulta per diversi motivi essere piuttosto facile: basta un giusto abbigliamento nemmeno troppo impegnativo, e una racchetta da padel che meglio possa adattarsi al proprio livello e al proprio stile di gioco. 

Dopo aver prenotato e pagato un campo di padel qualcuno potrebbe chiedersi: “ma come si gioca a padel? Come vinco?”. Proviamo a rispondere!

Iniziamo col dire che le regole del padel sono state definite dall’IPF (Federazione Internazionale del Paddle) e valgono sia per le donne che per gli uomini.

come si gioca a padel
il campo di padel

Dimensioni, superficie e accessi dei campi di padel

Il campo di padel internamente è un rettangolo di 10 metri di larghezza e 20 metri di lunghezza con una tolleranza dello 0,5%. Al pari di un campo da tennis deve essere diviso perfettamente a metà da una rete. Parallela alla rete sono tracciate le linee di battuta. La rete di un campo da padel è lunga circa 10 metri ed è alta 88cm al centro mentre nelle estremità è lievemente più alto (circa 92cm). Le linee del campo (solitamente bianche) devono essere larghe 5cm. Tutto il campo è recintato.

Il campo di padel può essere di svariati materiali (cemento, materiale sintetico, erba artificiale, conglomerato poroso ecc.) purché sia garantito un rimbalzo regolare della palla. Per quanto riguarda il colore, il campo può essere di terracotta, verde o azzurro nei campi outdoor, per i campi indoor è prevista anche la possibilità che il campo sia nero. Ciascuno dei lati prevede 2 accessi simmetrici larghi almeno 2 metri e non devono esserci impedimenti fisici.

come si gioca a padel
palla e racchetta di padel

Palla, racchetta e abbigliamento da padel

La palla da padel è una sfera di gomma con un diametro che può variare da 6,35cm fino a 6,77 cm con un peso che va da 56 fino a 59,4 grammi. Una palla da padel omologata ottiene un rimbalzo compreso tra 1,35 e 1,45 metri se lasciata cadere da 2,54 metri. 

La scelta della racchetta è importante e deve riflettere sia il proprio stile di gioco sia il proprio livello. Naturalmente una racchetta da padel deve quantomeno essere composta da testa e manico il quale dovrà avere una larghezza e uno spessore di 5cm. Per ciò che concerne la testa della racchetta può essere di dimensione variabile ma che, sommata al manico, non può superare i 45,5cm di lunghezza, mentre in larghezza non è possibile andare oltre i 26cm e, infine, lo spessore non dovrà superare i 3,8cm. A completare il tutto, la racchetta da padel deve essere dotata di una corda (o di un cavo l’importante è che non sia elastico) che serve per tenerla unita per sicurezza al polso in modo da evitare possibili incidenti.

Per l’abbigliamento e calzature si prevede che siano adeguate allo sport che si sta praticando. Non si possono usare magliette senza maniche o costumi da bagno. Nel padel a squadre è opportuno (anche se non è una regola, piuttosto una consuetudine) che i giocatori indossino lo stesso abbigliamento.

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le regole del padel
Impariamo le regole del padel

Entriamo in partita: come si gioca a padel e quanto dura un match

Bene, ora che abbiamo capito come deve essere fatto un campo da padel, come deve essere la racchetta e la palla e come bisogna vestirsi, arriviamo al fulcro della questione: come si vince a padel?

Oltre che con costanza e allenamento, per vincere a padel è necessario conoscere le regole a fondo così da evitare di commettere banali errori che precludono sia la vittoria che il divertimento.

La battuta

Per imparare come si gioca a padel, non possiamo non iniziare da qui. Se sbagli la battuta, come nel tennis, hai a disposizione una seconda occasione. Per effettuare correttamente la battuta, il battitore dovrà:

  • Avere entrambi i piedi dentro la linea di battuta, mantenendo tale posizione fin quando la palla non viene colpita
  • Far rimbalzare la palla nell’area di battuta in cui si trova
  • Mai toccare con i piedi la linea di battuta nemmeno superandola con i piedi alzati
  • Quando si colpisce la palla, questa deve stare massimo all’altezza della cintura e il battitore dovrà mantenere almeno un piede per terra
  • Lanciare la palla dall’altra parte del campo e sopra la rete nel riquadro di battuta opposto diagonalmente al suo facendo il modo che essa dentro le linee che la delimitano
  • Non battere se il ricevitore non è pronto a rispondere

E’ fallo se:

  • Il battitore non colpisce la palla
  • Se la palla cade fuori dal campo di battuta del ricevitore
  • La palla colpisce il battitore o il suo compagno in caso di doppio
  • La palla colpisce la recinzione direttamente già al secondo rimbalzo
  • La palla esce dal campo dopo il primo rimbalzo (dagli ingressi, per esempio)

Come ribattere

  • Il battitore non colpisce la palla
  • Se la palla cade fuori dal campo di battuta del ricevitore
  • La palla colpisce il battitore o il suo compagno in caso di doppio
  • La palla colpisce la recinzione direttamente già al secondo rimbalzo
  • La palla esce dal campo dopo il primo ribalzo (dagli ingressi, per esempio)

Quando si assegna un punto nel padel

Ora che è chiara la regola della battuta e della ribattuta scopriamo come si fa un punto nel padel. Per prima cosa dobbiamo ricordare che:

  • La palla battuta deve rimbalzare nel campo avversario oppure toccare dopo il primo rimbalzo una delle pareti nel campo opposto
  • La palla non può essere colpita simultaneamente da 2 giocatori né essere toccata per 2 volte durante la risposta
  • La palla non può essere giocata con il corpo ma solo con la racchetta e non può colpire altri oggetti se non campo e pareti

Per cui si assegna un punto quando:

  • La palla colpisce direttamente le pareti del campo avversario prima di rimbalzare sul campo
  • La palla rimbalza due volte sulla superficie

I giocatori sono autorizzati ad uscire dal campo attraverso le uscite laterali per colpire la palla (se quest’ultima non ha già compiuto 2 rimbalzi).

Si perde il punto se:

  • La palla rimbalza due volte sul campo senza che venga respinta prima
  • Un giocatore colpisce la palla senza che essa abbia superato la rete
  • Un giocatore colpisce la palla e questa tocca per primo il pavimento o la copertura del suo campo
  • Entrambi i giocatori colpiscono contemporaneamente o consecutivamente la palla
  • Un giocatore tocca la palla più di una volta nella risposta
  • La palla tocca il giocatore e non la racchetta
  • La palla colpisce direttamente una qualsiasi superficie diversa dal campo contrario (pavimento)
il punteggio nel padel
Il punteggio nel padel

Il punteggio

Ora che abbiamo capito come si assegnano i punti, vediamo quanto dura più o meno una partita di padel. Sulla conta dei punti valgono le regole del tennis. Si parte da “0” e il primo punto è “15”, poi “30”, “40” e infine totalizzando quattro punti si vince il game (il gioco). Se entrambi sono arrivati a 40, il punto successivo è chiamato “vantaggio” e per vincere il gioco bisogna aggiudicarsi anche il punto seguente, in caso contrario si ritorna in parità sul 40-40. Come nel tennis, per vincere il gioco è necessario avere 2 punti di scarto dall’avversario.

Chi si aggiudica i primi 6 giochi vince il set, se l’avversario arriva a 5 giochi vinti bisogna batterlo totalizzando un punteggio di 7 a 5 (2 giochi di scarto), in caso di parità 6 a 6 si passa al “tie break” che viene vinto da chi arriva per primo a 7 punti. Gli incontri di padel si giocano al meglio di 3 set, per vincere è necessario aggiudicarsi 2 set.

Come nel tennis, non esiste una durata fissa nel padel (anche se nei tornei ufficiali di padel, per velocizzare, ci sono alcune regole fisse sui tempi tra un gioco o un set).

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